Cultura

Angelo Del Boca, italiani non proprio brava gente

Angelo Del Boca, italiani non proprio brava genteAngelo Del Boca

Simposi La sua figura e i suoi studi sul colonialismo sono stati ricordati a Milano in un affollato convegno organizzato a Palazzo Moriggia dall’Istituto Parri e da quello lombardo di Storia contemporanea

Pubblicato più di un anno faEdizione del 29 maggio 2023

«Angelo Del Boca ha avuto la capacità di andare oltre la storia militare, quella diplomatica, quella puramente istituzionale. Aveva una tensione che guardava alle persone e non solo alle strutture». E’ in questa frase di Valeria Deplano, giovane studiosa dell’Università di Cagliari, che si coglie la cifra del giornalista, dello storico e dell’uomo Angelo Del Boca. Partigiano, saggista, polemista, Del Boca è stato
ricordato a Milano in un affollato convegno organizzato a Palazzo Moriggia dall’Istituto Parri e da quello lombardo di Storia  contemporanea. Il titolo – Italiani brava gente? -, mediato da uno dei suoi saggi più famosi, sembra proprio azzeccato in questi tempi in cui il mito dell’Italiano Buono, che costruisce strade e ponti e che, se fa la guerra, la fa sempre come missione di pace, sembra tornare
con forza nell’ideologia di un governo cui questo titolo deve essere andato di traverso.
Ideato dalla famiglia di Angelo, il convegno è stato strutturato da Nicola Labanca che, con Del Boca e Rochat, formò la prima squadra di studiosi che squarciò il velo sul colonialismo italiano: una Storia negletta e censurata (come il famoso film Il leone del deserto sulla figura di Omar al-Mukhtar), o figlia di un’assolutoria retorica che – ha ricordato Alessandro Pes (lui pure Università di Cagliari) – si ritrova
persino in un discorso del presidente Scalfaro del 1996, salvo una correzione di tiro l’anno seguente. Il refrain è sempre quello: Italiani brava gente! (col punto esclamativo). Così bravi che, nell’immaginario collettivo, il soldato italiano è prima di tutto un lavoratore, anzi «qualcuno che porta lavoro» in società primitive che ottengono così l’accesso alla civiltà. Lo fa – dice ancora lo studioso – «in
opposizione alla ‘cupidigia’ di Paesi come il regno Unito e la Francia», con una «specialità ed eccezionalità» del milite tricolore che ne suggerisce un’umanità che travalica la guerra. E – aggiungiamo noi – la giustifica.

Labanca, che il convegno ha concluso, aveva chiesto ai numerosi studiosi convenuti di raccontare, oltre al proprio settore di  approfondimento, quanto Del Boca avesse influito sul loro lavoro. E la prima nota è che, anche solo vent’anni fa, non solo un simposio sul colonialismo italiano sarebbe stato una rarità, ma il numero dei ricercatori sarebbe stato – non lo è oggi – esiguo.
Il convegno milanese (dopo Novara, a Fondotoce Val d’Ossola e a New York), riconosce sia l’impegno dell’uomo («un giornalista – dice Ada Marchetti dell’Istituto lombardo di Storia – con la schiena dritta») sia il fatto che oggi – nonostante gli sforzi per continuare l’opera di occultamento – la visione di quel che fu il colonialismo italiano è sempre meno assolutoria.

Del Boca inoltre aveva, proprio in virtù del suo essere storico e giornalista, la capacità di collegare il passato al presente, di cogliere la lezione di ieri nei fatti di domani. Illuminanti le sue ultime interviste sulla crisi libica. E come non ricordare la vicenda de I gas di Mussolini (un libro del 1996 ripubblicato nel 2021) che vide proprio su questo giornale la pubblicazione dei telegrammi fino ad allora segreti in cui il Duce dava il via libera ai bombardamenti all’iprite. La sua tesi, smentita tra gli altri da Indro Montanelli che poi si scusò,
divenne verità ufficiale grazie a un lungo lavoro negli archivi che Del Boca condivise proprio con il manifesto, che pubblicò i telegrammi con gli ordini di Mussolini. La verità ufficiale fu poi ammessa dal ministro della Difesa Domenico Corcione che rese pubblici i documenti sull’uso del diclorodietilsolfuro, il micidiale gas mostarda.

Nato a Novara il 23 maggio 1925, Del Boca è morto a Torino all’età di 88 anni. La sua famiglia si è sempre data da fare nell’organizzare eventi che vadano oltre il tributo al marito o al padre (prossimo appuntamento a Torino). E’ una scelta che tiene viva una memoria storica che è sempre a rischio di occultamento. Di cui è prova quel cambio di segno sulla locuzione Italiani brava gente. Col punto
esclamativo o col punto di domanda.

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