Angèle Etoundi Essamba, uno sguardo diverso sull’essere umano
Angèle Etoundi Essamba, «A-fil-iation», 2021
Cultura

Angèle Etoundi Essamba, uno sguardo diverso sull’essere umano

Fotografia Intervista all'artista di origine camerunense in occasione della personale «Determined women» al Museo di Roma in Trastevere (fino al 6 ottobre)
Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 ottobre 2024

«Celebro l’Africa e la forza delle donne africane, nere, attraverso il mio sguardo. Gli occhi di una fotografa che è donna e africana.», afferma Angèle Etoundi Essamba (Douala, Camerun 1962) in occasione della personale Determined women, curata da Sandro Orlandi Stagl e Massimo Scaringella al Museo di Roma in Trastevere (fino al 6 ottobre). Cresciuta in Francia, Etoundi Essamba si è diplomata alla Dutch Photography School di Amsterdam, dove vive attualmente. La mostra romana ripercorre il suo lavoro, da sempre fortemente connesso con la rappresentazione del femminile, dagli anni ’80 con Esprit fino alla serie più recente A-fil-liation (2022) esposta anche nel padiglione del Camerun alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. «Il mio lavoro parla delle domande che mi pongo, delle mie aspirazioni, dei sogni».

Le diverse serie che ha realizzato negli anni si possono considerare come un intero corpus fotografico in progress?

Sì, è un intero work in progress che ho realizzato nell’arco di quarant’anni. Ho iniziato con un bianco e nero fortemente contrastato per arrivare al colore e tornare, poi, al bianco e nero. Al di là del fatto che è stato realizzato in tempi diversi, è un lavoro che parla comunque di donne. Intendo mostrare la loro interiorità, le emozioni, l’umanità. Parlo anche di orgoglio, forza e consapevolezza, tre parole chiave che definiscono il mio lavoro.

Angèle Etoundi Essamba, foto di Manuela De Leonardis

Nell’utilizzo del linguaggio della ritrattistica e della staged photography, c’è anche un riferimento alla fotografia di moda?

Trovo un po’ di difficoltà a riferirmi al mio lavoro in termini di fotografia di moda. Anche quando scelgo un tessuto è perché dietro c’è un significato. Si tratta di un espediente per esprimere esteticamente l’interiorità.

I significati metaforici sono importanti ma anche i diversi livelli di lettura…

Sì, sono molto importanti. La fotografia è il mezzo che utilizzo per esprimermi, comunicare, condividere un pensiero. In A-fil-liation l’uso del filo diventa fondamentale per rappresentare il concetto di interconnessione, relazione, comunicazione anche attraverso il colore. Per questo ho scelto fili di colori diversi: il rosso, il nero, il bianco ma anche l’insieme di diversi colori. In un’altra serie come Renaissance la figura femminile è raffigurata nell’atto di tenere in mano l’universo. Ogni lavoro ha un diverso significato.

Lei è nata in Camerun e vive ad Amsterdam, qual è il suo percorso artistico?

Sono nata in Camerun ma ho lasciato il mio paese quando avevo 9 anni. Sono cresciuta a Parigi, poi a vent’anni mi sono trasferita in Olanda. È lì che ho concretizzato veramente la mia passione per la fotografia. Dietro c’è il mio sguardo e la mia fascinazione per l’essere umano in sé che porto con me dall’infanzia. Quando ho studiato alla scuola d’arte ho capito che questo sarebbe stato l’indirizzo del mio lavoro, sviluppandolo con il mio sguardo di donna e nera. Forse è troppo usare il termine scioccata, ma certamente ero disturbata dalla rappresentazione dei neri nel paesaggio visuale europeo. Volevo mostrare qualcosa di diverso.

 

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