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Andrzej Wajda, quaderni giapponesi

Andrzej Wajda, quaderni giapponesiUn disegno di Andrzej Wajda

Esposizione L'arte del regista polacco oltre i suoi film

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 marzo 2020

È stata una fascinazione duratura quella di Andrzej Wajda per il Giappone, un’attrazione diventata sempre più forte negli anni, viaggio dopo viaggio quasi sempre in compagnia della moglie Krystyna Zachwatowicz. Ce lo raccontano i disegni della mostra Japanese Notebook visitabile fino al 29 marzo presso il Museo dell’Arte e della Tecnica giapponese Manggha di Cracovia che ospita anche l’archivio personale del grande cineasta polacco. Dopotutto Wajda è soltanto uno dei tanti artisti polacchi ad essere stato contagiato dal virus giapponista di Goncourtiana memoria nel corso del Novecento. Nelle arti visive i primi ad esserne colpiti in Polonia sono alcuni esponenti del periodo cosiddetto Mloda Polska come i pittori Wojciech Weiss o Leon Wyczólkowski a cavallo dei due secoli appena trascorsi. Una mania alimentata in quegli anni tra gli esponenti della Giovane Polonia dal collezionista e studioso di ukiyo-e, Feliks Manggha Jasielski, la cui immensa raccolta di stampe e oggetti provenienti dal Giappone costituisce ancora il nocciolo duro del museo. Ed è proprio in occasione di una mostra nel 1944 – in una Cracovia allora sotto occupazione nazista – di alcuni degli Hokusai, Utamaro e Hiroshige posseduti da Jasielski che Wajda, da poco maggiorenne, viene iniziato all’arte giapponese. A disposizione della curatrice Anna Król 14 quaderni di schizzi e decine di disegni rimasti a testimonianza dei sette soggiorni di Wajda in terra nipponica, l’ultimo dei quali nel 1996. Il Paese del Sol Levante viene ribattezzato presto dalla coppia Wajda-Zachwatowicz «il nostro Giappone», un luogo da amare e da esplorare ognuno a modo proprio: Andrzej con inchiostro e pastelli, Krystyna con la macchina fotografica. Per il Wajda disegnatore il giapponismo non si traduce in un decorativismo esasperato né tantomeno nella ricerca fine a se stessa di una maggiore bidimensionalità. D’altro canto il cinema di Wajda, spesso barocco nel profilmico, avrebbe sopperito a qualsiasi esigenza di riempire il vuoto e curato ogni potenziale manifestazione di horror vacui. Risulta invece evidente lo sforzo compiuto dall’artista polacco di scegliere un punto di vista compositivo quanto più simile a quello delle incisioni classiche dell’ukiyo-e. Emblematico a questo proposito un scatto di Krystyna che cattura Andrzej nell’atto di disegnare dall’alto una folla di passanti su un ponte a Kobe alla maniera dei grandi maestri di stampe. Nei disegni di Wajda la pioggia viene rappresentata con delle linee continue che attraversano la composizione in diagonale, ancora una volta alla maniera dei paesaggi dell’autore delle 100 vedute famose di Edo. Sono tutti tentativi umili di ritagliare la realtà come i maestri e catturarne l’essenza in pochi tratti. Ma l’umiltà del Wajda disegnatore non esclude l’orgoglio di un artista che ha marchiato molti dei suoi disegni in rosso utilizzando un sigillo personale a mo’ di monogramma dureriano. I quaderni giapponesi in mostra a Cracovia confermano quanto il disegno per il maestro polacco sia stato molto di più che un passatempo per ripulire la mente tra una pellicola e all’altra o dopo una produzione teatrale.

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