Cultura

Andreas Gursky, il paesaggio delle merci

Andreas Gursky, il paesaggio delle merciAndreas Gursky, «Salerno», 1990 © Andreas Gursky, by Siae 2023, courtesy Sprüth Mager

Mostre La personale del fotografo di Lipsia al Mast di Bologna, fino al 7 gennaio 2024

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 17 ottobre 2023

È il fotografo del grande formato, Andreas Gursky, nato a Lipsia, Germania dell’est, nel 1955: dagli anni ’90 i suoi scatti sono sinonimo di grandi composizioni. Dopo aver studiato arte a Essen continua all’Accademia di Düsseldorf sotto la guida dei coniugi Becher che tanto influenzeranno il suo lavoro.
Nelle sue immagini, la presenza dell’uomo è inscindibile dal mondo dell’industria e del mercato, l’enorme quantità di merci e prodotti frutto di un consumismo sfrenato si ripercuote sul paesaggio, nello sfruttamento delle terre, le discariche, i rifiuti, l’inquinamento. Gli esseri umani ci sono, se ne percepisce l’impronta, l’agire, il comportamento e il suo impatto. Ci sono anche quando non si vedono, sono loro gli autori di tutto quello che si vede in mostra.

SPESSO LA SUA PRESENZA è impercettibile, ma è in tutto quello che ha creato e distorto nella natura e nel sistema produttivo, di cui Gursky coglie in parte l’assurdità, l’eccesso. Come nel magazzino in Amazon del 2016 dove una grande quantità di oggetti, sistemati apparentemente senza una logica, sono pronti per essere spediti o ancora in 99 cent // Diptychon del 2001 negozi emblema del consumismo a basso costo, fatto di oggetti spesso inutili, dai colori brillanti che il fotografo accentua in digitale creando nello spettatore una sensazione di immersione totale.
L’ambientazione industriale segna fin dall’inizio il suo percorso artistico, come dimostrano gli interni delle fabbriche della Siemens e della Grundig in Germania e lo scatto Salerno del 1990, un’immagine che a prima vista potrebbe sembrare una grande cartolina inviata da una città di mare, ma che in realtà è una veduta dall’alto del porto con i container, le merci, le navi, le auto e sullo sfondo un paesaggio quasi schiacciato. Un’immagine stratificata, una visione democratica, realizzata in analogico e con una prospettiva dall’alto. La mostra Andreas Gursky. Visual Spaces of Today al Mast di Bologna fino al 7 gennaio 2024, curata da Urs Stahel insieme al fotografo, è la prima antologica dell’artista in Italia e segna l’inizio delle celebrazioni dei cento anni dell’impresa G.D e dei dieci di Fondazione Mast. Quaranta immagini fra templi del consumo e sedi dell’industria finanziaria, fra queste anche Rhein II scatto fra i più quotati al mondo, che ha raggiunto il valore commerciale di oltre quattro milioni di dollari.

UN’OPERA su cui Gursky è intervenuto creando un paesaggio quasi astratto, formale, che rappresenta il corso del Reno come un nastro. Quel tratto di fiume che scorre vicino al suo atelier e lungo il quale l’artista va a correre, è mostrato come un grande muro, sull’immagine è intervenuto eliminando i siti industriali. La sua riflessione si focalizza anche sull’invasività e il dominio di Amazon, ci mostra la Apple come un luogo di culto, un altare laico. Si contrappone Salinas del 2021 dove le saline di Ibiza vengono manipolate digitalmente, alla bellezza naturale aggiunge due scie di aerei per rendere il contrasto con la modernità. Una grande composizione sulle lavoratrici vietnamite che producono sedie di vimini per Ikea svolgendo un’attività artigianale su scala industriale.
Ancora V&R II del 2022 dove sulla passerella di una sfilata di moda, come se fosse un nastro trasportatore su cui scorrono le merci, si susseguono i corpi di modelle stereotipate. Le donne sembrano manichini, la bellezza è in serie, i corpi appaiono senza emozioni, quasi finti. Un’altra forma di mercificazione. Nello scatto di una miniera di carbone in Germania dagli indumenti appesi alle carrucole dello spogliatoio si percepisce la presenza degli operai e la pochezza dell’individuo davanti a immense strutture, le manipolazioni che opera Gursky servono a dare più potenza alle immagini.

NEL CASO DEI BOX di formula uno i suoi interventi rievocano un dittico pittorico, il suo obiettivo si posa anche su uno stabilimento di auto giapponesi, bianco, asettico, un non luogo indefinito. E ancora la borsa di Tokyo, i terreni coperti da distese di serre, gli allevamenti intensivi, per rappresentare le molte sfaccettature della società contemporanea dei consumi e del mercato.
L’esposizione, accompagnata da un catalogo con un testo critico di Urs Stahel, rientra anche nel programma della VI Biennale di fotografia dell’industria e del lavoro che prevede dodici mostre (undici personali e una collettiva), a partire da domani a Bologna in varie sedi. Tema della Biennale, Game. L’industria del gioco in fotografia.

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