Andrea Satta e quelle vite nel microcosmo di periferia, storie di ironica sopravvivenza
Musica Debutto solista per la voce solista dei Têtes de Bois con «Niente di nuovo tranne te», tra pop e cantautorato
Musica Debutto solista per la voce solista dei Têtes de Bois con «Niente di nuovo tranne te», tra pop e cantautorato
Un disco popolato di cassiere, garagisti, autisti, estetiste, parrucchiere, tangenziali, traffico, clochard, esodo e controesodo, bollini neri e rossi; il primo album solista di Andrea Satta, Niente di nuovo tranne te (Santeria), storica voce dei Têtes de Bois, rende straordinaria l’amara – per molti aspetti – quotidianità da cui siamo assorbiti. Il linguaggio è quello del cantautorato intriso di poesia, frutto dell’osservazione e di una sensibilità che mette a fuoco spaccati intimi di personaggi comuni che si fanno narrazioni universali. Il disco è stato prodotto e arrangiato con Giorgio Maria Condemi, fra gli ospiti ci sono Truppi, Silvestri e Benvegnù: «È stata una svolta musicale che volevo, i Têtes sono la mia famiglia però avevo bisogno di un suono diverso che ho trovato in questo meraviglioso musicista che è Giorgio Maria. Un lavoro lento, sia perché non sento nessun vincolo di mercato e poi sono un pediatra. Ho tempi diversi, se non avessi l’immersione quotidiana nella mia periferia di metropoli forse non potrei raccontare. La vita che faccio è un pane necessario per quello che scrivo».
LA PRIMA delle 12 tracce è Coupon, è anche la colonna sonora del cortometraggio presentato al Torino Film Festival di Agostino Ferrente (Coupon. Il film della felicità) di cui Satta è protagonista: «Con Agostino mi lega una fortissima amicizia, gli avevo chiesto un video clip, si è fatto prendere la mano…». La periferia va in scena nel disco attraverso una tagliente e ironica critica della società di massa, emblematico è un brano come Amore al centro commerciale, in cui racconta i non luoghi: «Il centro commerciale distrugge lo spazio in cui è costruito, lo fa con una violenza tale che annulla il bene e il male: se ci sono 100 pini centenari li butta giù, se ci sono tre discariche le bonifica, se c’è un campo di calcio o un luogo di malaffare li annulla. Riparte da zero e ricostruisce il microambiente di cui si ha bisogno per essere felici, il mattoncino, la fontana e quindi anche la piccola famiglia. Cose come le card hanno lo scopo di farti sentire in famiglia anche quando la famiglia non ce l’hai, ti coccolano basta che ti fidelizzi, la casa dove puoi essere felice è quella con lo sconto 3×2, con la card risparmi 8 centesimi sugli spaghetti. Ripropongono un modello finalizzato alla vendita dei prodotti».
C’è un dialogo sorprendente fra musica e pediatria, sono due mondi strepitosi, i bimbi si propongono ogni giorno con un’intuizione, come il creativo. Sono loro stessi artisti
Satta ha scritto fiabe per bambini ed è un pediatra, un’attività che svolge nel suo ambulatorio nella periferia romana, un lavoro che influisce nella sua musica: «C’è un dialogo sorprendente fra musica e pediatria, sono due mondi strepitosi, i bambini si propongono ogni giorno con un gesto, un’intuizione, come il creativo, i bambini sono continuamente artisti, se la ricerca è una delle cifre dell’artista, il bambino fa ricerca continuamente. È un artista naturale che mi suggerisce di stare al passo e di rilanciare, così sono abituato a rilanciare. Questo è il regalo più bello dal mio mondo di pediatra. Il cantautore è uno che racconta sparando su un altro piano ciò che lo attraversa».
IL PADRE scampò al campo di concentramento tedesco di Lengenfeld dove vide uccidere 40 suoi amici, una storia che Satta ha scoperto dopo la sua scomparsa grazie a una lettera ritrovata nella libreria paterna, uno dei brani più commoventi è Che cosa ti ricordi di tuo padre: «Mio padre rincontrò in stazione il macellaio che aveva fatto quell’eccidio, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, invece lo circondò con altri compagni e lo accompagnò al comando americano per farlo processare, è tutto scritto nella denuncia. Un gesto meraviglioso, un ragazzo di vent’anni che ormai pesa 40 chili, trova la lucidità e il senso di giustizia. Non era né Gandhi né Cristo, il brano è mio padre, ma è anche il padre di tutti quelli che non ce l’hanno più o che magari ce l’hanno e decidono di trascorrere una domenica ad ascoltare questi vecchi genitori. Trovare il tempo di ascoltare è un lusso che ci dobbiamo permettere».
Il disco problematizza il presente: «Per quanto sia un momento orrendo sotto tanti punti di vista non conosco il senso della nostalgia, gli anni alle spalle sono peggiori di questi, se fossero stati migliori non saremmo arrivati qua. Fare l’elogio di ai miei tempi, non ha senso, c’erano nazisti e fascisti. Quando vedi dei bambini che non vengono rispettati pensi che non ci sia un confine al rispetto della vita, non si riesce a essere umani, al di là dei torti e delle ragioni».
LA SOLITUDINE è un altro tema centrale: «Dipende da quanto ci sottraiamo alla voracità di chi ci vuole elementi di produzione, da quanto ci sganciamo da chi ha un progetto economicista su di noi. Spegnere la televisione, andare sui social occasionalmente quando ti serve una cosa, così come usi la lavatrice, alla lavatrice ci pensi solo quando devi lavare i panni, altrimenti diventiamo operai nella fabbrica degli altri».
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