Andrea Orlando, un garantista che piace a Napolitano
Un ligure che veniva da quella storia lì c’è già stato, al ministero di Grazia e giustizia; fece anche l’amnistia. Ma si chiamava Palmiro Togliatti e non è il caso […]
Un ligure che veniva da quella storia lì c’è già stato, al ministero di Grazia e giustizia; fece anche l’amnistia. Ma si chiamava Palmiro Togliatti e non è il caso […]
Un ligure che veniva da quella storia lì c’è già stato, al ministero di Grazia e giustizia; fece anche l’amnistia. Ma si chiamava Palmiro Togliatti e non è il caso di fare paragoni. Andrea Orlando oltretutto è spezino – il Migliore genovese – e chissà se riuscirà a trovare la famosa scrivania usata dal compagno Ercoli che Oliviero Diliberto, l’unico altro comunista in via Arenula, ha raccontato di aver fatto nascondere al momento di lasciare l’incarico, per evitare che fosse «profanata». Molto a sorpresa anche per il diretto interessato che contava di restare all’Ambiente, e non proprio come prima scelta di Renzi, un politico puro torna alla Giustizia, dopo gli anni dei tecnici (Cancellieri, Severino) e quelli bui di Alfano. Ma forse il paragone più giusto è quello con un altro democratico dal profilo severo, Piero Fassino, che però la materia la masticava meno.
Di Alfano ministro, Orlando doveva essere il primo avversario, quando Bersani lo impose responsabile della giustizia del partito (prima era stato Veltroni a volerlo portavoce del Pd, aveva all’ora l’età che oggi ha Renzi). Eppure lui, nel fuoco delle polemiche contro le leggi ad personam, processo breve, legittimo impedimento, se ne uscì con una proposta in cinque punti di riforma della giustizia. Una proposta fatta al governo del «Caimano». Pubblicata addirittura dal Foglio di Giuliano Ferrara, una pagina intera (9 aprile 2010). In giurisprudenza non si è mai laureato, ma Orlando rivendica di esserer sempre stato garantista – e per questo racconta di essersi preso anche l’accusa di «migliorista» dai compagni – che sia per questo simpatico a Napolitano? Allora scrisse parole sacrosante, attaccando «l’ipertrofia delle norme penali» causata dalla «ossessione securitaria» e dalla «sbornia forcaiola». L’antiberlusconismo le annegò. Per aver toccato i tabù dell’obbligatorietà dell’azione penale, del peso delle correnti togate nel Csm e soprattutto dell’azione disciplinare «domestica» delle toghe e addirittura della «necessaria distinzione dei ruoli tra i magistrati dell’accusa e i giudici» (a un passo dalla separazione delle carriere) si prese un vagone di accuse dai sostanzialisti in servizio permanente. Fu messo all’indice nel partito. In parte ritrattò.
Dal punto di vista di Berlusconi, Orlando in via Arenula è meglio di molti altri, quasi di tutti gli altri evocati nel totoministri. Ma prima o poi bisognerà smetterla di misurare i propri giudizi su quelli del Cavaliere. Lo aspettiamo all’opera, di dossier aperti ne trova molti, dalla riforma della custodia cautelare ai nodi della giustizia civile, suo pallino. Ma prima di tutto c’è l’emergenza carceri, con il termine concesso dalla Corte di Strasburgo che scade a maggio. Fin qui Orlando è rimasto assai prudente, svicolando le domande su amnistia e indulto dietro i soliti discorsi del Pd sugli interventi strutturali da fare prima. Con la spinta di Napolitano può trovare il coraggio di non far rimpiangere Cancellieri.
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