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Andrea Fogli, emissari ctonii ritmati nelle teche

Andrea Fogli, emissari ctonii ritmati nelle techeAndrea Fogli al Museo Duca di Martina, Napoli: Diario di 365 figure, part.

A Napoli, Duca di Martina Spuntano da un altrove le 365 piccole figure in terracotta e argilla cruda che Andrea Fogli ha realizzato nei giorni del Covid e ora messo in dialogo con le ceramiche del museo

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 settembre 2023

Un frate che accenna passi di danza, un appestato che lascia tintinnare i suoi campanelli mortiferi, una donna che si tira i capelli e poi un energumeno con la testa piccola, una fanciulla abbigliata con corsetti arabescati e centinaia di altre figure dalle fattezze notturne, poco più o poco meno di liquide ombre, piccole sculture appena scaturite dalla pressione delle dita sulla materia. Colte nel corso di gesti sacri e osceni, di inazioni e rattrappimenti, sventolando fazzoletti, trasportando acqua, chiudendo gli occhi, le figure si accompagnano serrando le fila, facendosi eco l’una con l’altra, ondeggiando in una lunga e informe sequenza.

Con questo ritmo scandito da pose e atteggiamenti, le opere di Andrea Fogli si diffondono tra le sale del Museo Duca di Martina, a Napoli, tra le bacheche di legno e vetro che conservano la collezione di ceramiche costituita nella seconda metà dell’Ottocento da Placido de Sangro. Visitabile fino all’11 settembre e curata da Marta Ragozzino, direttrice della Direzione Regionale dei Musei della Campania, la mostra di Fogli riattiva il dialogo tra le declinazioni dei linguaggi del contemporaneo e la raccolta di arti decorative, che consta di circa seimila oggetti, dalle porcellane europee delle manifatture Meissen, Doccia e Capodimonte a quelle cinesi di epoca Ming e Qing, e che dal 1931 è ospitata nell’ex casino nel parco della Floridiana, il cui complesso fu donato, nel 1817, dal re Ferdinando di Borbone alla moglie morganatica Lucia Migliaccio di Partanna, duchessa di Floridia.

Qui trova svolgimento il Diario di 365 figure, serie realizzata tra il 16 ottobre 2019 e il 31 luglio 2022, attraverso cui l’artista ha traslato la rigidità dell’enumerazione cronologica e memoriale in vibranti sculture di terracotta e argilla cruda. Allestita tra preziosità medioevali, maioliche rinascimentali e barocche, vetri e cristalli, l’esposizione include anche i disegni in grafite del Diario dei 59 grani di polvere, quelli in polvere di pastello dell’Erbario Planetario – in parte realizzati nel parco che circonda il museo napoletano – e le visionarie cartoline del Voyage au centre du Monde, compendiando la recente produzione di Fogli che, da sempre interessato alle sfaccettature del simbolo, ha orientato la sua ricerca verso la suggestione dei paesaggi interiori e degli universi sotterranei.

Sulla scorta degli Arlecchini e delle Colombine di porcellana collezionati dal Kaspar Utz di Bruce Chatwin, i viandanti e gli eremiti modellati da Fogli, i fanciulli ermafroditi o caudati da scorpione, i briganti e i giullari, rivendicano la propria persistenza. Come le manifatture rococò, cariche di riflessi e brillantezze, esprimono il gusto di un secolo alchemico ed elegante, decorato e concluso, così le opere di Fogli riportano l’acuto sentore di uno spazio indeterminato, l’usta di un luogo dalle mille profondità, in cui ogni cosa può diventare altro. Emissari di una natura ctonia, le figure trovano sede nelle teche museali come la corte del regno dell’immaginale di junghiana derivazione, espressione di un mondo composto di terre e di spiriti, pertinente agli abissi della carne e agli istinti epidermici, in cui gli dei e gli archetipi, rimossi dalla storia insieme al portato della loro psiche, possono riaffiorare nel quotidiano, trovandovi, finalmente, una collocazione di senso. Parola originaria, incisa nelle strutture della rappresentazione, la figura stessa diventa dunque una piega attraverso cui far precipitare il pensiero nella realtà.

Assimilabili, per certi aspetti, agli idoli dell’arte cicladica o ai personaggi di una danza macabra tardomedievale, le sculture di Fogli non sono bloccate in un’archeologia idealizzata e nemmeno tendono a una morale. Toccate dal non finito, dall’interruzione del segno scultoreo, le figure paiono rievocare il contesto di una pompé omerica, una congerie di impulsi latenti sotto la superficie dell’esperienza umana, più che saldamente collocati in una mente arcaica o in un altrove sacrale. Il Diario è stato assemblato, infatti, durante la pandemia e di quel momento ricorda i tremori e gli incubi. Al soffuso risveglio tra la notte e il giorno, le figure del Diario permangono vivide come frammenti da ricomporre, per ripristinare la circolarità che trascorre tra il dominio della ragione e la liberazione dell’irrazionale, tra l’umanità e la natura, il sé e il tutto, il dentro e il fuori, scongiurando l’inibizione della paranoia – le Figure della Quarantena e la triade Non sento, Non vedo, Non parlo – e recuperando la vitalità della paura come modalità panica di consapevolezza.

«Le Figure silvane sono uno spiraglio, una via d’uscita. Un risorgere delle figure, che trovano il loro nome e giorno natale», così Fogli racconta la genesi dell’ultima parte della serie delle 365 figure, richiamando la presenza laterale di Pan, l’irsuta divinità nascosta nelle tumide ombre della selva e disposta a esercitare la sua forza generatrice anche con la brutalità. «Mi ero appena trasferito nella campagna che da Penna in Teverina scende verso il Tevere quando il 15 luglio del 2021 dopo il tramonto ho iniziato a lavorare l’argilla sotto una veranda-padiglione aperta su tutti i lati sul verde e il bosco, circondato e assediato da suoni di uccelli conosciuti e sconosciuti, da cinghiali e grilli, da farfalle notturne e ogni tipo di insetti e ombre», continua l’artista. «Senza nessuna predeterminazione (parola assente nel mio vocabolario) ho visto affiorare nella creta un trasfigurato popolo di creature animali e umane-animali, risvegliate sì dal luogo silvano dove stavo vivendo, ma anche dal mio desiderio di abitare la solitudine e il silenzio che avevo cercato, forse proprio per scoprire cosa c’era dentro – in fondo ad ognuno di noi – una volta silenziato il brusio e la corsa del mondo».

Si attende allora la pubblicazione del catalogo, in presentazione l’11 settembre al Museo Duca di Martina ed edito da Artem, con testi di Marta Ragozzino e Francesco Nappo e fotografie di Alessandra Cardone che, con l’inserto di immagini realizzate a studio da Andrea Fogli, andrà a sistematizzare la rispondenza tra figure e giorni, come un annuario da sfogliare.

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