Visioni

«Andare avanti» nella vita a piccoli passi sicuri

«Andare avanti» nella vita a piccoli passi sicuriUna scena da «Moving On» di Yoon Dan-bi

Torino Film Festival Si conclude oggi la 38esima edizione in streaming, presentato in concorso «Moving On» di Yoon Dan-bi, racconto intimo e familiare

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 28 novembre 2020

Potrebbe sembrare un piccolo film, il coreano Moving On (Andare avanti) diretto, scritto e prodotto da Yoon Dan-bi, con il suo fascino di racconto intimo e familiare, non fosse per le tracce di crudeltà pronte ad esplodere, disseminate lungo le stanze e le scale in cui si muovono i miti personaggi. Il lontano ricordo di David Cooper e del suo emblematico testo del’68 compare sullo sfondo: non sarà questo il caso della morte della famiglia, ma probabilmente aggiunge qualche tassello al suo smantellamento e nello stesso tempo offre i motivi alla sua ostinata resistenza.

L’ATMOSFERA è malinconica, come succede nei traslochi: è estate, per motivi economici si passeranno le vacanze e forse un periodo più lungo nella casa del nonno che è in ospedale e avrà bisogno poi di assistenza, una bella casa col giardino, tutta da esplorare, dove ognuno cerca il suo spazio, prima fra tutte la sorellina maggiore Okju che fin dalle prime scene, complice una canzone ascoltata in macchina, è triste perché si allontana forse per sempre dal quartiere dove vivono i suoi amici e forse, in particolare, da uno di loro.
Non si tarderà a far coincidere il proprio sguardo con quello della ragazzina, con le sue scoperte, considerazioni, iniziative, desideri di tredicenne (come la plastica agli occhi per renderli più rotondi), piccoli passi avanti nella sua crescita. Arrivata, delimita immediatamente il suo spazio, tallonata dal fratello più piccolo Donju che non vuole sentirsi escluso, ma sarà comunque sempre allontanato rimanendo dietro porte chiuse. E poi riaccolto. Scene di ordinaria amministrazione, scandite dai pasti attorno al tavolo rotondo, snodi cruciali del racconto, pause continue che segnano il tempo, il passare dei giorni, con i rassicuranti e bonari interventi del padre. Ci sono gli oggetti della casa sconosciuta da rimettere in funzione, come l’impianto stereo o la macchina da cucire e poi rallegra le giornate l’arrivo della zia, mentre il ritorno del nonno li mette di fronte a un parente enigmatico tutto da scoprire nella sua laconica presenza.

TUTTO SCORRE, ma è proprio attraverso la normalità che si mostrano gli scarti dell’esistenza, i comportamenti non proprio così esemplari dei grandi che si insinuano anche nei comportamenti dei più piccoli, non fosse per qualche ripensamento, ma il quadro è ormai disegnato: quegli adulti così pronti a compiere azioni non esemplari, come pensare di mettere il nonno nell’ospizio o vendere la casa a sua insaputa, anche pria della sua morte, per risolvere i problemi economici. E che dire della madre assente? Quegli adulti non sono altro che lo specchio di quello che diventeranno probabilmente quei ragazzini così pieni di belle speranze, pronti anche loro a commettere qualche azione sconveniente, tanto che iniziano ad allenarsi fin da piccoli.
Sotto la mano sorprendentemente accorta della giovanissima regista (classe ’90), tutto si svolge con quel verosimile poetico che ci ricorda tanti interni di film asiatici, da Ozu a Kore’eda. L’elemento interessante è che anche se come studentessa di cinema conosce bene i classici, da Kore’eda non si è lasciata influenzare dall’atmosfera familiare, ma pragmaticamente ha incontrato il suo scenografo, l’interior designer, che le ha insegnato a rendere più fotogeniche le location e a posizionare i personaggi nelle stanze, una casa che sembra abbracciare i suoi abitanti. «È una storia molto coreana, dice Yoo Dan-bi, ma non ho seguito il nostro classico modo di racconto, perché in genere si racconta la storia da fuori, questo film appartiene una nuova onda fatta soprattutto di donne che cercano di raccontare attraverso i sentimenti».

LA DOLCE CASA di Yoon Dan-La bi fa venire in mente agli spettatori per contrasto la casa maledetta di Parasite, con non una, ma due famiglie che si fronteggiano. «Il racconto di Parasite, dice, ha un obiettivo diverso dal mio, riguarda moltissimo la società più che la famiglia, Io volevo raccontare una storia piccola, una casa vista da dentro nella sua intimità. Volevo far vedere quanto sia importante una casa per non rendere la vita infelice».

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