And So I Watch You From Afar, vibrazioni math-rock
Note sparse «Jettison», l'ultima creazione della band irlandese
Note sparse «Jettison», l'ultima creazione della band irlandese
Nel solco del post-rock più incisivo, più espressivo degli ultimi anni, soprattutto quello dei Godspeed You! Black Emperor e dei Mogwai (ma non mancano tracce anche degli Explosions In The Sky, di lame di chitarra scintillanti, gocciolanti nel vuoto improvviso) è da poco uscito per l’etichetta Velocity, Jettison, l’ultimo bellissimo disco degli And So I Watch You From Afar, dall’Irlanda del Nord, una lunga suite di quasi quaranta minuti che può essere ascoltata tutta d’un fiato, in un’unica traccia (scelta consigliata) o traccia per traccia, cosa che però pregiudica la continuità della composizione, la comprensione dell’evoluzione naturale del motivo di partenza. In effetti la struttura è quella di un tema iniziale, nel primo brano del disco, o, meglio, si dovrebbe dire nel primo movimento (Dive Pt. 1), in cui, adagio, gli archi dell’Arco String Quartet di Belfast intessono una melodia estatica, come uno sfondo erbale, floreale (i prati irlandesi) che accompagna lo spoken word, il testo recitato di Emma Ruth Rundle, artista straordinaria dall’anima post-rock, cantautrice, chitarrista, già membro dei Red Sparowes.
NEL SECONDO movimento compare la batteria a creare uno scarto evolutivo – andante, come una danza – di quella prima accensione armonica, insieme a una presenza più densa della chitarra (arpeggiata) e di un coro di donne in filigrana, a richiamare in qualche modo, in lontananza, la tradizione bucolica, le danze campestri del folk, di cui il gruppo di Belfast non si è mai dimenticato in tutto l’arco della propria discografia. Di là ecco l’impronta math-rock tipica degli And So I Watch, nel terzo movimento: una chitarra distorta, ritmica, e rif in preda a tic nervosi, alla Battles, prima che intervenga la motrice di basso nel quarto movimento (allegro, direi) insieme allo spoken word questa volta di Neil Fallon dei Clutch. Il disco procede così, incrementando quell’imprimitura originaria, in progressione, in riempimento di materia sonora, efflorescenza tra le stagioni, tra impeti di chitarra distorta, ferraglia di batteria, frenesia di rullante (come nel sesto, nel settimo e nell’ottavo movimento).
Fino alla tregua, a un ritorno quasi trascendente, largo, d’archi nel movimento finale, A.D. Poet in cui l’apporto del violoncello e dei violini, a tratti brahmsiano, si fa come tramontante, oscillante tra sereno e struggimento verdearancio dell’atmosfera.
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