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«Ancora sospesa la verità sulla morte di Giuseppe Pinelli»

«Ancora sospesa la verità sulla morte di Giuseppe Pinelli»

La strage di Piazza Fontana Intervista a Silvia Pinelli, figlia dell’anarchico che 51 anni fa «volò» da una finestra della Questura di Milano nella notte del 15 dicembre

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 12 dicembre 2020

«A che punto siamo? Siamo ancora fermi al 1975, alla sentenza del giudice D’Ambrosio». Silvia Pinelli, figlia di Pino, il ferroviere anarchico precipitato dal quarto piano della questura di Milano nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, sa che il tempo si è sostanzialmente fermato. La verità sulla morte di suo padre, almeno per i tribunali, è vaga come le stelle dell’Orsa: per la giustizia si è trattato di «malore attivo» durante un interrogatorio che andava avanti da 48 ore. Anche la versione ufficiale sulla bomba che il 12 dicembre uccise 17 persone nella sede di piazza Fontana della Banca dell’Agricoltura è un contorsionismo non da poco: l’ultima sentenza, del 2005, identifica la matrice neofascista attraverso delle assoluzioni, con l’esecuzione materiale che ancora oggi rimane ignota.

Non c’è verità, dunque?
Al di là delle sentenze, diverse inchieste hanno portato alla luce dei fatti decisivi. Sono usciti molti libri, si è detto e scritto tanto. Manca il riconoscimento giudiziario, che non c’è mai stato. Ma fondamentalmente non c’è mai stata nemmeno la voglia di indagare davvero…

Da un punto di vista istituzionale, però, in molti hanno dato il loro sostegno alla lotta per la verità.
È vero. Nel 2009 il presidente della Repubblica Napolitano parlò di Pinelli “vittima due volte”. L’anno scorso il sindaco Beppe Sala ci chiese scusa a nome della città di Milano per tutto quello che non era stato fatto. La città, d’altra parte, ha sempre vissuto in maniera contraddittoria questa storia.

In che senso?
Basti pensare alla vicenda delle lapidi: ora in piazza Fontana ce ne sono due, una del Comune e un’altra degli studenti e dei democratici milanesi: nella prima c’è scritto “morto tragicamente” mentre nella seconda “ucciso innocente”. Si è sempre discusso molto di quest’ultima e benché nel 1990 il consiglio comunale la considerò ufficialmente parte integrante della piazza, in seguito il sindaco Gabriele Albertini e soprattutto il suo vice Riccardo De Corato vollero toglierla. Il perché bisognerebbe chiederlo a loro. Comunque alla fine sono stati i cittadini a rimetterla e adesso è ancora lì.

L’anno scorso in quindicimila parteciparono alla catena musicale per il cinquantesimo anniversario della bomba e della morte di Pinelli. Quest’anno?
Abbiamo organizzato un incontro con degli studenti dal titolo “Non c’è futuro senza memoria: lezione in piazza su una strage di stato” , poi ci saranno degli interventi (Benedetta Tobagi e Fortunato Zinni, oltre alle sorelle Claudia e Silvia Pinelli, nda), delle letture e un accompagnamento musicale. Martedì sarà proiettato in piazza il film “Pino, vita accidentale di un anarchico” di Claudia Cipriani. Come l’anno scorso, hanno aderito decine di associazioni, di partiti e di collettivi da tutta l’Italia.

Per Cipriani fu la vita di Pinelli ad essere accidentale, per Dario Fo invece lo fu la morte. Che ricordo ha lei della figura di suo padre?
Credo che sia importante riscoprire che uomo sia stato: spesso guardando la lapide ci si interroga solo sulla sua morte senza chiedersi della sua vita. Un bel lavoro, in questo senso, l’ha fatto anche Paolo Pasi, che ha scritto per Eleuthera il libro “Pinelli, una storia”, in cui racconta della sua vita politica, da quando a 15 anni è diventato partigiano al suo attivismo nei collettivi anarchici e nel sindacato. Pino era un utopista normale, una persona che viveva la quotidianità con entusiasmo, capace di appassionarsi e di coinvolgere le persone che aveva attorno. Mia sorella e io molte cose le abbiamo scoperte soltanto grazie ai racconti di chi lo conosceva e allora era un ragazzo. Il suo modo di fare lo portava a confrontarsi spesso con un mondo assai variegato. Non dimentichiamo che il primo documento politico che chiedeva la verità sulla sua morte era quello del Partito Socialista, e tra i primi firmatari c’era Aldo Ainasi, che era sindaco di Milano all’epoca della strage.

Avete speranza che prima o poi la verità verrà finalmente a galla?
Aspettiamo da cinquantuno anni e ormai non è più una questione giudiziaria. Noi vogliamo soltanto sapere cosa accadde quella notte in questura. Chi sono i responsabili della morte di Pino Pinelli, mio padre.

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