Ad Ancona la paura di perdere è un sentimento inedito. Qui il centrosinistra si è sempre dimostrato capace di sopravvivere a qualsiasi tipo di avversità: ha vinto nel 2013 all’epoca del boom grillino, si è confermato nel 2018 mentre nel resto d’Italia il renzismo affondava, ha resistito persino nel 2020, quando la destra si è presa le Marche ma non è riuscita ad espugnare il suo capoluogo.

Eppure questa volta è diverso, ai comizi i volti sono tesi, come se le certezze di un tempo fossero diventate improvvisamente sfuggenti. Ci sono dei motivi di ordine oggettivo, per cominciare. Dopo dieci anni di dominio, la sindaca Valeria Mancinelli è costretta a passare la mano e la sua erede, Ida Simonella, malgrado l’appoggio di tutta l’amministrazione uscente, è riuscita a guadagnarsi l’investitura dopo aver vinto le primarie di appena 45 voti contro l’outsider Carlo Pesaresi. E poi c’è la coalizione. Anzi in realtà non ce n’è molta: la destra ha una lista in più del centrosinistra (sette contro sei) e fuori ci sono il M5S, i Verdi e la sinistra, che a un certo punto sembrava dovessero unirsi tra loro ma che alla fine andranno sparpagliati, ognuno per i fatti suoi. Il disordine e la divisione, strano a dirsi, non aiutano nessuno, la sensazione è davvero di essere di fronte a un precipizio. E così la paura è un attimo che diventa panico. Allarmi eccessivi? Seminare dubbi è solo un modo per portare i militanti a lavorare più duramente? Ancona resisterà di nuovo?

«Qui il Pd ha un problema grosso: il messaggio di Elly Schlein non è ancora arrivato», spiega Andrea Nobili, ex garante regionale dei detenuti e storico esponente del centrosinistra cittadino. Al congresso del Pd, del resto, Mancinelli ha sostenuto Stefano Bonaccini con profonda convinzione e da sempre viene considerata una figura affine al cosiddetto terzo polo. Alle ultime politiche, per il collegio uninominale del Senato – ritenuto sicuro ma perso per 900 voti – la sindaca aveva imposto l’ex Cisl Marco Bentivogli, modello di sindacalismo secondo Calenda e paladino del centrismo più timido o, come si dice adesso, «riformista». Una situazione che nelle Marche non si può certo considerare strana: all’ultimo congresso regionale del Pd le due candidate alla segreteria erano entrambe posizionate su Bonaccini e il confronto è stato più una resa dei conti tra opposti gruppi dirigenti che un momento di riflessione sulla vita di un partito che veniva da tre anni di commissariamento. Conclude Nobili: «Abbiamo uno dei Pd più arretrati d’Italia. I leader politici sono ostaggio delle pulsioni renziane e calendiane». Schlein, comunque, verrà a sostenere Simonella domani pomeriggio con un comizio nella centrale piazza Roma. Nei giorni scorsi, invece, si sono fatti vedere Carlo Calenda («Simonella è bravissima, mi dispiace non sia di Azione», ha detto) e Mara Carfagna.

Altrove c’è l’altrove. Il M5s va da solo e propone Enrico Sparapani, che domenica ha ricevuto in città Giuseppe Conte. I Verdi, pure in corsa solitaria, si affidano a Roberto Rubegni. La sinistra, dal canto suo, candida come cinque anni fa Francesco Rubini, e coltiva qualche speranza di fare l’exploit con due liste, una con dentro le forze politiche tradizionali (Altra Idea di Città) e una costruita sui giovani e sulle esperienze di lotta sul territorio (Ancona Città Aperta). Cinque anni fa il 6,5% conquistato alle urne fu notevole e adesso la speranza di fare ancora meglio è concreta. «È dal 2013 che ci presentiamo come alternativa al centrosinistra e al centrodestra – dice Rubini -, ma comunque abbiamo sempre cercato il confronto. Il problema è che Mancinelli sulle questioni fondamentali non ha mai guardato verso sinistra, ma si è rivolta altrove. Noi portiamo avanti una linea seria e coerente, e questo ce lo riconoscono tutti. Siamo fiduciosi, credo che Ancona possa diventare un laboratorio importante per la sinistra».

La destra, va da sé, vede il bersaglio grosso a un tiro di schioppo. Giusto ieri il moderatissimo candidato Daniele Silvetti ha incassato la benedizione della trimurti Meloni-Salvini-Tajani, insieme sullo stesso palco, introdotti da Pino Insegno, a dire che l’impresa è possibile e che avrebbe una caratura nazionale. L’analisi non fa una piega e, del resto, la sconfitta del centrosinistra sarebbe una clamorosa prima volta. Le Marche, si sa, vengono considerate un modello dai partiti della maggioranza di governo. Da queste parti, dopo la vittoria alle regionali del 2020, la destra sta passando ai capoluoghi di provincia, confermandoli (Ascoli), conquistandoli (Macerata) o cooptandoli (Fermo). Manca Ancona, e lunedì pomeriggio vedremo come si saranno messe le cose, dando per scontato che nessuno sarà in grado di prevalere al primo turno. E l’anno prossimo c’è Pesaro, roccaforte (ex) rossa del sindaco Matteo Ricci. Nessuno lo dice ma tutti lo pensano: lo sprofondo nero è appena a un passo.