Puntuale a ogni luglio ecco arrivare una delocalizzazione industriale. Se l’anno scorso toccò alla Gkn di Campi Bisenzio, quest’anno una sorte che sembra tristemente simile capita alla Wartsila di Trieste. Il colosso della produzione di motori per navi ieri mattina ha comunicato via pec ai sindacati la decisione di chiudere l’attività produttiva del sito di Bagnoli della Rosandra, dichiarando 451 esuberi sui 973 lavoratori totali. Si tratta in pratica di tutti gli operai e di parte degli impiegati (per il 40 per cento donne), senza contare i 400 altri operai dell’indotto per un totale vicino ai mille esuberi.

IN UNA TRIESTE CHE GIÀ sta facendo i conti con la crisi della Flex – azienda elettronica con 280 dipendenti che lottano contro il licenziamento da maggio – , il caso della Wartsila è innovativo nel lungo elenco di delocalizzazioni subite in questi anni in Italia. «Fa parte di un processo di deglobalizzazione», attacca Marco Relli, segretario della Fiom di Trieste, già impegnato nell’organizzazione del presidio davanti alla fabbrica per impedire che l’azienda porti fuori i motori assemblati dagli operai triestini. «La Wartsila è arrivata 20 anni fa subentrando a Fincantieri: la multinazionale ci ha sempre guadagnato ma ora il governo finlandese ha deciso di far tornare la produzione a casa investendo 350 milioni nella costruzione di uno stabilimento uguale a questo», continua Relli.

L’annuncio di Wartsila non è infatti «un fulmine a ciel serreno». I sindacati le nubi su Trieste le avevano già intraviste: «Appena abbiamo saputo dell’investimento del governo di Helsinki abbiamo chiesto all’azienda chiarimenti». La risposta è stata interlocutoria: «I dirigenti della Wartsila ci hanno confermato che per tutto il 2022 e metà del 2023 c’erano ordini per i motori di Trieste e quindi lavoro per noi. Dunque non ci aspettavamo questa accelerazione ma sapevamo che la produzione era a rischio per il 2023», spiega Relli.

A Trieste secondo i piani di Wartsila rimarrebbe solo il servizio di manutenzione dei motori – il cosiddetto service – così come a Genova e Napoli composto da un centinaio di operai, più i rimanenti impiegati.

LA RABBIA DEI LAVORATORI va però subito contro il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti. Nel suo recente viaggio in Finlandia i primi di luglio, Giorgetti ha riferito di essere stato rassicurato dal governo di Helsinki sulla produzione della Wartsila a Trieste. Lo stesso Giorgetti ieri ha cercato di rispondere: «Mi sono confrontato con il ministro finlandese Ville Skinnari, anche lui all’oscuro di tutto. Ho già disposto l’immediata convocazione dei vertici di Wartsila anche alla luce del fatto che la società aveva avviato col Mise una negoziazione per un accordo di innovazione», commenta ufficialmente il titolare leghista del Mise.

A Trieste però i lavoratori non si fanno illusioni. «La deindustrializzazione va avanti da tempo – racconta Relli – . Negli anni ’80 ai Grandi Motori della Fincantieri lavoravano 3.200 operai, già oggi siamo a un terzo. C’è una volontà politica chiara ormai da decenni: le istituzioni hanno deciso di puntare sull’ampliamento del porto che porta più incassi ma una capacità occupazionale che è di 1 a 5 rispetto all’industria: ora devono fare i conti con una crisi sociale fortissima che non sanno come affrontare», conclude Relli.

In questo contesto assumono quasi un valore beffardo le dichiarazioni di tanti politici. Primo fra tutti il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, l’altro leghista Massimiliano Fedriga che esprime «sdegno e incredulità», parlando di «un comportamento e una scelta inaccettabile nei metodi e nei modi», che «lascia senza parole anche e soprattutto perché da più di un anno non solo la Regione, ma anche il governo nazionale, avevano ricevuto ampie rassicurazioni dai vertici dell’azienda e dalle istituzioni diplomatiche e governative finlandesi». Dunque, «sin da subito va ritirata l’annunciata delocalizzazione».

LA LOTTA DEGLI OPERAI triestini si sta organizzando: allo sciopero immediato e al presidio sta seguendo la stesura dei turni per reggere la protesta per 90 giorni: i tempi previsti per la discussione della procedura.

L’esempio della lotta degli operai della Gkn, che proprio cinque giorni fa hanno festeggiato l’anno passato, potrà dare forza ai colleghi triestini. La legge contro le delocalizzazioni partorito dal governo Draghi invece purtroppo li aiuta molto meno: il testo approvato allunga solo i tempi, senza incidere sulle scelte delle multinazionali. Che continuano a lasciare l’Italia praticamente indisturbate.