Internazionale

Anche Israele teme la candidatura di Barghouti a presidente

Anche Israele teme la candidatura di Barghouti a presidenteMarwan Barghouti in tribunale a Gerusalemme nel 2012 – Ap

Territori occupati Autorizzato ieri l'ingresso nel carcere di Hadarim del ministro dell'Anp Hussein al Sheikh incaricato dal partito Fatah di persuadere il Mandela palestinese a non correre per la presidenza contro Abu Mazen. Se fosse eletto, per Israele sarebbe un problema tenere in cella il presidente palestinese

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 12 febbraio 2021
Michele GiorgioGERUSALEMME

A quanto pare per le autorità israeliane è diventato fondamentale che Marwan Barghouti, il più famoso dei prigionieri politici palestinesi e capo del comitato centrale del partito Fatah, non partecipi alle elezioni fissate il 31 luglio per la presidenza dell’Autorità nazionale palestinese. Se Barghouti, come intenderebbe fare, dovesse candidarsi e poi vincere le elezioni – possibilità concreta –, tenere chiuso in una cella il presidente eletto palestinese sarebbe un problema non da poco per Israele. Forse anche questo spiega la decisione di permettere a Hussein al Sheikh, ministro dell’Anp e tra i dirigenti più importanti di Fatah, di entrare ieri nella prigione di Haradim dove Barghouti vive in regime di massima sicurezza.

Il ministro Hussein al Sheikh ieri all’arrivo alla prigione di Haradim

Non confermato da Israele, il colloquio tra i due, hanno detto fonti di Fatah, si è concentrato quasi interamente «sul bene per il partito e per il popolo palestinese», ossia sull’opportunità della candidatura di Barghouti che avverrebbe contro il presidente in carica Abu Mazen. Al Sheikh avrebbe fatto presente a Barghouti che i membri del comitato centrale di Fatah non possono candidarsi alle elezioni per decreto presidenziale. Quindi ha ricordato che un presidente in carcere – Barghouti è stato  condannato a cinque ergastoli e 40 anni come mandante dell’uccisione di quattro israeliani, accusa che ha sempre respinto con forza – non avrebbe modo di guidare l’Anp. Infine al Sheikh avrebbe chiesto al «Mandela palestinese» di esprimersi riguardo l’idea di cui si parla da qualche settimana di una lista comune di Fatah con il movimento islamico Hamas. Questa soluzione metterebbe fine allo scontro, anche violento, che dura dal 2006 tra le due principali formazioni palestinesi ma sta provocando non pochi mal di pancia nel partito di Barghouti (e anche in Hamas) con il rischio che alcuni esponenti di Fatah  presentino in segno di protesta liste indipendenti alle elezioni legislative del 22 maggio.

Dichiarazioni di Barghouti non erano note ieri sera. Secondo Al Sheikh, ripreso dall’agenzia Wafa, il prigioniero avrebbe definito le elezioni «la pietra angolare della ricostruzione del sistema politico palestinese su base democratica e pluralistica». E avrebbe chiesto la salvaguardia dell’unità di Fatah. Niente sulla questione della candidatura a presidente. I dilemmi di Barghouti però sono noti. Sa che candidandosi spaccherebbe Fatah e non vorrebbe farlo. Allo stesso tempo è consapevole che proponendosi come presidente darebbe un forte scossone al quadro politico palestinese paralizzato da anni e metterebbe in difficoltà Israele che, non ci sono dubbi, preferisce l’anziano Abu Mazen a capo dell’Anp. E certo considera anche la sua condizione: sa che solo diventando presidente palestinese avrà una possibilità concreta di uscire dal carcere, anche se gli israeliani lo escludono categoricamente. La questione irrisolta causa parecchio affanno ai vertici di Fatah. Dopo gli incontri positivi tra tutte le forze politiche palestinesi terminati l’altra sera al Cairo – proseguiranno a marzo – per Abu Mazen si chiudono i margini per bloccare tutto e revocare il decreto con cui il 16 gennaio ha convocato il voto. L’unico appiglio a questo punto potrebbe fornirglielo Israele vietando il voto ai palestinesi di Gerusalemme Est.

Hamas le elezioni le vuole, ne ha bisogno per legittimarsi all’esterno e provare a rompere l’isolamento in cui è tenuto a Gaza. Su di esso hanno un peso le pressioni del Qatar, suo sponsor principale, che a suon di milioni di dollari spinge per la riconciliazione con Fatah e per evitare nuove escalation con Israele. A ciò va aggiunto che il movimento islamico ha discrete possibilità di vincere le legislative (come nel 2006). Per questo il suo leader Ismail Haniyeh mantiene una linea moderata, di apertura verso Fatah e Abu Mazen e pur di portare i palestinesi alle urne potrebbe rinunciare a candidarsi alla presidenza dell’Anp. Resta da risolvere la questione del ruolo dei giudici nel controllo dei risultati delle votazioni. Abu Mazen con un decreto, denunciano alcuni, si sarebbe garantito corti più favorevoli a Fatah in Cisgiordania e mentre è messa in dubbio la legittimità dei giudici a Gaza, la roccaforte di Hamas.

 

 

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento