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Anche i pesci a volte piangono

Anche i pesci a volte piangono

Alimentazione L’allevamento fornisce il 50% del pesce di cui ci alimentiamo, l’acquacoltura potrebbe rispondere alla crescente domanda alimentare a patto che non si strascuri il benessere degli animali

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 19 aprile 2018

L’acquacoltura è l’allevamento di organismi in acqua dolce e salata. Una attività umana antichissima, che solo negli ultimi decenni è diventata un’attività industriale. In uno degli ultimi rapporti della FAO dedicati alla pesca, si stima che l’allevamento dei pesci fornisce il 50% del pesce di cui ci alimentiamo e che il suo tasso di crescita, attorno al 9% negli ultimi 3 anni, è in progressivo aumento.
In una fase in cui la pesca tradizionale ha ormai superato i livelli di sostenibilità, è proprio «qualità» il termine chiave per rispondere a domande quali «meglio il pesce pescato o quello d’allevamento?» oppure «può l’acquacoltura rispondere alla crescente domanda alimentare ?»

PER GLI ESPERTI L’ACQUACOLTURA è sicuramente la strada giusta da intraprendere, ma come tutte le attività industriali è soggetta a una serie di pericoli, alcuni già evidenti. Il massiccio utilizzo di antibiotici è da un po’ entrato nel mirino: controlli più rigorosi sono in atto e la riduzione della filiera li rende più efficaci. Ma non si tratta dell’unico fattore, o di quello più importante. Definire la qualità di un allevamento di pesci è complesso tanto quanto valutare gli allevamenti di animali superiori (uccelli e mammiferi).
Osservando un pesce dal vetro di un acquario o dietro la maschera subacquea, la loro scarsa espressività, l’assenza di suoni, i movimenti limitati, ci danno l’impressione di esseri viventi che, per quanto in alcuni casi molto eleganti e curiosi, siano degli animali semplici e poco evoluti. I pesci esistono da 500 milioni di anni, mentre uccelli e mammiferi rispettivamente da 200 e 150; si sono evoluti molto più tempo fa, sono gli unici vertebrati che respirano in acqua: sono molto diversi da noi, ma non per questo meno complessi o sensibili.

NUMEROSI STUDI ECOLOGICI, ma anche semplici osservazioni, dimostrano che i pesci hanno comportamenti e processi cognitivi molto simili a quelli degli altri vertebrati: cacciano ed evitano di essere cacciati, memorizzano a lungo termine, si corteggiano e si sfidano, esplorano, e in alcuni casi si prendono cura della prole. E se abbiano anche la capacità di soffrire è ancora oggetto di dibattito scientifico. Robert Arlinghaus, ricercatore dell’Istituto di Ecologia delle acque dolci dell’Università Humbold di Berlino, ha negato la sofferenza dei pesci in base a uno studio sui recettori del dolore di trote e carpe, suscitando la gioia degli anti-vegan. Ma altrettanto recentemente LynneSneddon, del Roslin Institute di Edimburgo, ha dimostrato con diversi esperimenti effettuati su trote arcobaleno che queste ultime provavano e reagivano al dolore con comportamenti precisi e marcati. Quello che è chiaro è che c’è ancora molto da scoprire sul grado di intelligenza e sulla vita emozionale dei pesci.

Ma che relazione c’è fra la criptica coscienza e sensibilità dei pesci con l’allevamento? Essendo che non sussistono dubbi sul fatto che l’allevamento dei pesci continuerà ad aumentare diventando una fonte di approvvigionamento indispensabile, lo sarà altrettanto individuare le modalità più sostenibili per la salute dei pesci allevati. Ciò significa doversi occupare anche del loro benessere «sociale».

PER VALUTARE IL LIVELLO DI BENESSERE dei pesci di allevamento si studiano fattori fisici, sanitari, fisiologici ed ora si comincia a fare attenzione anche a quelli comportamentali. Si è capito per esempio che i pesci non amano la luce troppo forte e il sovraffollamento. L’osservazione di anomalie nel livello di alimentazione e di attività natatoria, o la presenza di comportamenti stereotipati come moti circolari, indicano che anche i pesci si stressano e si annoiano. E questo è un fattore importante perché lo stress può sopprimere le difese immunitarie ed aumentare il rischio di infezioni; di conseguenza patologie e mortalità hanno una relazione con il benessere totale fornito dall’ambiente. Esperimenti condotti sul salmone atlantico hanno mostrato che la loro capacità di apprendere, per esempio di associare a uno stimolo una ricompensa, diminuisce quando vivono in un ambiente di bassa qualità, ovvero con troppa luce e poco spazio.

IN ALCUNI ALLEVAMENTI SI STANNO sperimentando alcuni accorgimenti che migliorano la qualità della vita dei pesci, e che stanno dando risultati positivi sul tasso di riproduzione, come luci collocate strategicamente per fargli usare tutto lo spazio disponibile ed evitare l’affollamento, ed erogatori di alimento interattivi che permettono la crescita adeguata anche dei pesci meno competitivi che rischiano la malnutrizione.

Qualcosa sta cambiando, sempre più ricercatori ed allevatori concordano e collaborano nel promuove un allevamento più responsabile, andando incontro a una crescente sensibilità pubblica alle condizioni degli animali negli allevamenti e all’impatto degli allevamenti stessi. Ne è convinto Paolo Bray, fondatore e direttore della Ong Friend of the Sea (www.friendofthesea.org ) che ha come obbiettivo la conservazione e la tutela dell’habitat marino. L’organizzazione è oggi uno dei principali schemi internazionali per la certificazione di prodotti ittici, e i suoi requisiti già prevedono parametri che mirano anche ad aumentare il benessere animale delle specie acquatiche. Si sono proposti di fare di più. In collaborazione con l’organizzazione internazionale Fair-fish (www.fair-fish.net/ ), che da anni si occupa del benessere delle specie acquatiche, hanno iniziato un progetto di analisi delle aziende di acquacoltura da loro certificate al fine di sviluppare adeguati parametri di ulteriore miglioramento del benessere dei pesci.

PAOLO BRAY E’ CONVINTO CHE in generale la sostenibilità ambientale e sociale siano strettamente correlati al benessere stesso delle specie acquatiche. Per esempio, in acquacoltura, almeno per alcune specie, la densità degli individui nelle gabbie o nelle vasche determina un minore livello di inquinamento delle acque, una maggiore ossigenazione, minore sforzo per i pesci e dunque una ottimizzazione della conversione degli alimenti in peso corporeo, con conseguenti risparmi per l’azienda, la riduzione dell’inquinamento e l’aumento del benessere animale.

«Quello che dobbiamo comprendere – spiega – è che è inutile cercare di fare una classifica dell’intelligenza degli animali. Sulla base dell’evoluzione, dell’habitat e delle esigenze di sopravvivenza, gli animali hanno evoluto intelligenze diverse ma equivalenti nel consentire la sopravvivenza e la riproduzione. Visti in questa prospettiva, tutti gli animali meritano rispetto ed hanno diritto a vivere soddisfacendo le proprie esigenze. I pesci non sono un’eccezione»

Quindi, tornando al concetto della qualità, essa in qualche modo va a braccetto con una maggiore cura e benessere degli individui acquatici. Un altro sorprendente esempio ce lo fornisce ancora Paolo Bray, che sul tema è molto sensibile: «Uno studio scientifico recente ha dimostrato che la musica classica può determinare una crescita più rapida e una migliore salute del pesce: alcuni allevatori la stanno già sperimentando».

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