Accade spesso che una serie di testi, per esempio una raccolta di racconti, sia finalizzata a ricostruire un frammento di realtà restituendola attraverso una polifonia di punti di vista. Per molti versi è anche il caso dei sette racconti riuniti in  Benedizioni (traduzione di Ingrid Basso, Bompiani, pp. 197, € 17,00) di Caroline Albertine Minor, giovane e molto talentuosa scrittrice danese, che organizza queste sue brevi prose intorno a un’improvvisa assenza – per morte, per malattia, o per volontario allontanamento – osservata attraverso gli occhi di una serie di giovani narratrici, spesso madri lasciate sole, che tranne in un unico caso raccontano in prima persona: una strategia narrativa finalizzata a far risaltare l’assenza delle persone scomparse, che non viene descritta, bensì percepita nel senso di vuoto trasmesso dall’io narrante.

Già usciti di scena all’inizio di ogni racconto, questi personaggi scomparsi non possono fornire risposte, possono invece – tramite la perdita inflitta dalla loro assenza – rendersi molto presenti, aggiungendo alla vita di chi resta non solo  nostalgia e  senso di privazione – «il dolore sommesso di un molare cariato prima che l’infiammazione si diffonda al nervo» – ma anche tracce positive, barlumi di un’aspettativa alimentata da inattese nuove amicizie. A volte, si tratta di lasciar andare, con sollievo, chi ha deciso di scomparire o, come nel «Giardino del dolore», è stato colpito da un trauma cerebrale divenendo un corpo in cui la giovane compagna non riconosce più l’uomo amato. La stessa «morte non fisica», evidentemente un tema che per la giovane scrittrice ha  il particolare interesse di un’esperienza vissuta, torna in «Più calda», dove la protagonista, abbandonata dal compagno senza apparente motivo, per la sua tesi di laurea sullo Stato liminale del dolore intervista «parenti di persone colpite da danni cerebrali». Il solo racconto non in prima persona, «Dimentica Archie Pey», riconduce a una situazione scomposta in molteplici frammenti: qui, la storia di una giovane suicida ruota intorno al viaggio della madre in Australia, dove la ragazza è morta, un viaggio affidato alla voce di un narratore esterno; ma la storia di questa stessa ragazza torna anche in «Flügel des Lebens», raccontata dalla voce della coetanea e amica d’infanzia Franciska, cui vengono consegnate in lettura le ultime carte della suicida. E, ancora, la stessa storia viene riproposta in «Anso ha l’ultima parola», il racconto che chiude il volume, l’unico in cui viene data voce al personaggio assente, che lascia comunque irrisolti tutti gli interrogativi accumulati nel corso della lettura.

L’anatomia del dolore che Caroline Albertine Minor propone nei suoi racconti, questo suo indurre allo stesso tempo un vuoto e una sottile speranza che allevia il senso di impotenza, anticipa – per certi versi – l’opera successiva della scrittrice danese, La corazza dell’aragosta, uscita nel 2020, anch’essa affidata a una lieve, limpida e malinconica scrittura, che racconta la vita di tre fratelli riproponendo una frammentazione della realtà guardata da diversi punti di vista, suddivisi in capitoli alternati, che disegnano un dedalo di intrecci e di incontri, solo apparentemente casuali nella quotidianità dei protagonisti, segnati da un rapporto difficilissimo con un padre sempre in viaggio. Negli intervalli tra una voce e l’altra, si affacciano anche le parole dei genitori scomparsi, rivelando i racconti di Benedizioni  come una sorta di preludio alla struttura complessa del romanzo, ancora da tradurre.