Ana Blandiana, ricordi impertinenti dalla Romania degli anni Novanta
Scrittrici dalla Romania «Falso trattato di manipolazione», da Elliot
Scrittrici dalla Romania «Falso trattato di manipolazione», da Elliot
Più che un libro di memorie, quello di Ana Blandiana, poetessa romena della resistenza e del disincanto, è un esercizio di costrizione al ricordo, messo in atto per riscattare un passato del tutto condizionato dall’esercizio del potere a più dimensioni: si intitola Falso trattato di manipolazione (a cura di Mauro Barindi, Elliot, pp. 550, euro 24,00 ) e sembra scritto per obbligo, perché emerga il proprio inconfessato desiderio di manipolare a propria volta la realtà, come se per approdare alla libertà fosse necessario contagiarla con qualcosa di mistificante, in grado di scatenare anticorpi capaci di proteggerla nel futuro.
Del passato dell’autrice, fa parte l’arresto del padre, prete ortodosso, incastrato da una rivoltella nascosta dagli agenti in un cassetto durante la perquisizione della loro casa nel 1948. Ana, bambina, fu invitata ad uscire. Obbedì, permettendo agli agenti di manipolare la scena. Non è facile ricordarlo; ma – osserva la figlia del prete di Oradea – anche nella Bibbia i libri tiepidi non contano.
Ana Blandiana accetta, facendo ordine nei ricordi del suo libro, di sottoporsi a una sorta di visita medica per accertare una malattia della quale è lei stessa a tentare la diagnosi: si tratta infatti di scoprire verità impertinenti, che vanno affrontate dopo più di trent’anni di vita democratica, seguita a una acerba libertà e a entusiasmi rivelatisi fuori luogo.
Scrive Blandiana che se negli anni Ottanta era facile scansare per strada i nemici, negli anni Novanta, dopo la Rivoluzione, era complicato distinguerli dagli amici. Ogni sorta di manipolazione, svanito il lampo di luce del dicembre 1989, aveva velocemente avuto ragione della recente libertà.
Blandiana ricorda i figli della tragedia, gli orfani arruolati dalla Securitate, che venivano chiamati i ragazzi di Viale della Vittoria, la strada più antica e bella di Bucarest: non si poteva fare a meno di notarli lungo i marciapiedi, per come erano vestiti, pettinati allo stesso modo, con scarpe dello stesso modello. Allevati dallo Stato per diventare adulti infelici, odiavano tutti coloro che avevano un padre e una madre.
L’esperimento continua, non più tradotto nel sadismo che accompagnava la reclusione in carceri famigerate, bensì tramite buone azioni elargite a compenso della sofferenza, fra perdono e consolazione.
Nel 1967, a Parigi, Blandiana visitò Emil Cioran, anche lui figlio di un prete. Una inquietante nostalgia traspariva dalle domande del filosofo, che voleva sapere se fossero cambiati i tavoli, le sedie e la tappezzeria di un albergo di Sibiu, la città dove aveva vissuto in gioventù e dove non era più tornato.
L’apolide metafisico di Rue de l’Odéon si ritrovava dunque a rivolgere domande molto semplici, non troppo dissimili da quelle delle contadine, che volevano sapere se Ana le vedesse dallo schermo della televisione, quando appariva con quegli occhi che sembravano fissarle. Nel caso, avrebbero riassettato le case prima della trasmissione.
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