Il 12 aprile (in Italia il 18) è uscito in GB il docu-film Back to Black, che racconta Amy Winehouse, genio e talento assoluto, scomparsa a soli 27 anni. L’uscita ha creato diversi malumori e scatenato molte critiche. Ma Amy (interpretata dall’inglese Marisa Abela) era la sua musica e la sua musica era specchio della sua vita, per questo abbiamo invitato il suo storico tastierista Xantoné Blacq a farci da guida per le strade di Camden Town, a Londra, tra i suoni, la paura, la tristezza e la gioia negli occhi di Amy.
Xantoné ci dice così che «Back to Black è un film narrativo e non un documentario e darà alle persone un’ulteriore visione delle ragioni emotive che hanno portato Amy a fare certe scelte e decisioni nella sua vita. Gli attori protagonisti del film hanno fatto un ottimo lavoro e il regista, Sam Taylor-Johnson, ha voluto raccontare la storia di Amy in modo onesto ed emotivo».

AL NUMERO 30
Il «tour» inizia al numero 30 di Camden Square, ultima abitazione di Amy. Ma qui non c’è nulla. E allora pensi che da High Street Kensington, il viaggio sia stato lungo e inutile. Per cui devi scendere a Camden High Street, devi sgomitare tra la marea di turisti che stanno lì a fotografare le case colorate, e poi ti devi far stordire da quell’odore da street food che ti sale nelle narici e che nello stomaco ti farà perdere la voglia di mangiare fino al giorno dopo. Per quelle strade ti ritrovi le tue Adidas che calpestano la stella dedicata a David Bowie e poi quella dedicata ad Amy Winehouse. Inciampi e colori ovunque, stelle e cadute.

C’è Amy lì, in quei colori, ma c’è Amy anche in quelle cadute, anche voltando la strada. Così ti infili in un vicolo che è una parete di un pub, dove la cantante era solita sostare, e allora vedi una Amy gigante, dipinta non per come è stata la sua vita ma per come è stata la sua arte: enorme. Davanti a quel murale non c’è mai nessuno.

L’hanno lasciata in pace da morta quando in realtà voleva esserlo da viva. E una volta concluso il giro di case e murales non rimane più niente. Allora stai lì e senti una profonda tristezza, forse perché la morte è sempre triste, e a 27 anni lo è ancora di più. E fa tristezza quella Camden Square che non ti regala nessun colore, dove tutto sembra grigio, con i cartoni in mezzo alla strada, con il vento che si alza e ti fa pensare a quanto sia cupo quel posto, quasi inquietante, che ti aspetti di trovare qualche spacciatore all’angolo, quando all’angolo in verità c’è solo un bar con un vetro appannato da secoli e un’anziana signora che legge un quotidiano. Ti fermi, in strada non c’è nessuno, ed ecco che da lontano senti una donna urlare.
Quel silenzio che ci stava gettando nella tristezza più grande nel ricordo di Amy viene squarciato da quell’urlo che ci riporta alla vita: per fortuna è solo una donna che litiga con qualcuno al telefono, ma ci apre uno squarcio di luce e ci riporta al paradosso delle cose.

TRA VUOTO E TRISTEZZA
E allora il viaggio inizia ad avere un senso. Certo Amy si drogava, persa nel suo amore per il suo ex marito, tossicodipendente, perché l’amore è una partita persa, lo cantava lei, con tutta la sua profonda dolcezza. Certo Amy Winehouse è morta da avvelenamento da alcol, Amy Winehouse era quella che camminava per queste strade su quei tacchi alti traballanti, in bilico tra vuoto e tristezza, tra vita e morte, ma camminava come solo lei riusciva a fare. Amy non stava più in piedi durante gli ultimi concerti, i suoi coristi dovevano reggerla per non farla cadere dal palco, ma non mollava.
Amy Winehouse ha cambiato il mondo della musica, black, soul, pop e oltre. Nessuna come lei, nessuna con quella voce, quei testi, quel suono, quell’arcobaleno che squarciava il cielo carico di nubi, di silenzio, proprio come quell’urlo. Niente come il suono di Back to Black! Eppure di lei ci si ricorda per la morte, per la droga, per l’alcol.
Quanto fa share la morte? Quanto fa vendere il dolore degli altri? Amy schiacciata dai tabloid inglesi, Amy inseguita dal clamore dei paparazzi, ecco perché quel silenzio, davanti a quella porta, davanti a quel murale, è qualcosa di innaturale, di intangibile, che ti tocca nell’anima.

UN AMICO
Amy Winehouse, forse il talento più grande che la musica degli ultimi trent’anni ci ha consegnato, eppure pare che della sua musica ce ne siamo lentamente dimenticati. Anche su quella strada, andando verso il 30 di Camden Square, ci siamo fatti prendere dalla tristezza, ma non era così Amy, no.

E allora il ricordo di Xantoné, suo amico, prima ancora che un suo musicista: «Amy era profondamente umana. Era divertente, sarcastica, gentile, brillante, non concentrata sulle cose, meravigliosamente distratta, sicura di sé e smarrita, il tutto racchiuso in una personalità. Aveva le sue sfide personali e le sue delusioni. Ha scelto il suo modo di elaborarle, questa è la vita. Ma il suo talento e il suo lavoro come musicista sono stati una benedizione per lei e per noi. Le delusioni personali della sua vita e le decisioni che ha preso per elaborarle sono state parte di ciò che ha portato alla sua storia di vita.

Onestamente mi sarebbe piaciuto che la stampa di allora fosse stata più compassionevole e le avesse dato spazio per risolvere le cose in pace. Così purtroppo non è stato. Amy e io eravamo amici e ovviamente passavamo del tempo insieme. Una volta eravamo sul tour bus solo io e lei, e lei si offrì di farmi il caffè. Mentre preparava il caffè, cantava da sola e ho capito subito che era una vera cantante, che la musica era parte di lei, in maniera del tutto naturale. Sai ci sono persone che sono famose per la musica ma non hanno l’etica del lavoro o il talento per sostenerla.

Amy paradossalmente aveva il talento e l’etica, quando si trattava di musica lei era una vera cantante e una vera musicista. Credo che Amy volesse creare musica che riflettesse ciò che stava accadendo nella sua vita e nella vita delle persone che la circondavano. Leggendo i suoi testi, è chiaro che si concentrava sulla scrittura della sua realtà e non sulla scrittura di canzoni basate sulla fantasia. Entrambi sono approcci validi alla scrittura di canzoni, ma credo che l’obiettivo di Amy fosse quello di riflettere ciò che pensava e ciò che stava realmente accadendo nella sua vita.

Dalla mia esperienza con lei, direi che il livello di successo che ha raggiunto e la continua intrusione e ispezione della sua vita le creavano molta sofferenza e tutto era diventato soffocante per lei. Per poter esprimere parti profonde della propria umanità, una persona, un artista deve essere disposto a essere vulnerabile e aperto. Questa è una sfida quando molti aspetti della propria vita sono continuamente oggetto di intrusioni. Nella sua vita privata poi non era così semplice cercare di darle consigli, perché alla fine non so nemmeno se i miei consigli potessero esserle d’aiuto, io ho cercato di darle il meglio che sapevo di poter fare nel nostro lavoro, fare la mia parte di musicista nella sua vita, darle il meglio di me come musicista, ed essere un elemento costruttivo intorno a lei. E di Amy ho questo ultimo ricordo in cui a un certo punto era di buon umore e subito dopo stava male. Siamo saliti in quattro su un aereo insieme per fare uno spettacolo e quando abbiamo lasciato il palco è stata l’ultima volta che siamo stati insieme. Io la ricordo così, su un palco, circondata dai suoi musicisti, che sapeva di essere Amy Winehouse ma anche una ragazza come tutte le altre, e che in cuor suo sapeva che stava cambiando il mondo della musica».