Visioni

Amy Adams, «donne fuori dagli archetipi»

Amy Adams, «donne fuori dagli archetipi»

Intervista L’attrice americana racconta «Sharp Objects», miniserie noir su dei raccapriccianti delitti nella provincia Usa. Diretta daJean-Marc Vallée, la vedremo a settembre su Sky Atlantic

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 13 luglio 2018
Luca CeladaLOS ANGELES

La miniserie Sharp Objects della HBO è adattata dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn (pubblicato in Italia da Mondadori col titolo di Sulla Pelle). In seguito Flynn sarebbe arrivata al grande successo come autrice e sceneggiatrice dell’Amore bugiardo (Gone Girl) di David Fincher (2014).
Questa fiction tratta dal suo romanzo di esordio, che in Italia sarà trasmessa a settembre su Sky Atlantic, racconta la storia di Camille (Amy Adams), reporter del quotidiano di St. Louis inviata a seguire le vicende che hanno sconvolto la città della sua infanzia: Wind Gap, sonnolenta cittadina modello al confine fra Missouri e Tennessee che come tutte le cittadine modello di provincia nasconde alcuni segreti inconfessabili.

L’«assignment» di Camille sono gli omicidi di giovani ragazze, che vengono rinvenute con tutti i denti asportati. Ma la sua indagine verrà presto dirottata verso gli scheletri nell’armadio del paese e i demoni che lei stessa custodisce (come dimostrano le enigmatiche parole cicatrizzate sulla sua pelle di cui è lei stessa autrice con l’ausilio di una lametta). Le angosce interiori di Camille sono legate soprattutto ai rapporti con la madre/matriarca (Patricia Clarkson), che l’accoglie a malavoglia nella grande casa di famiglia, ai ricordi della sorella morta in tenera età ed alla giovane sorellastra.

Il risultato è un giallo – noir e dal tono gotico midwestern creato da Marti Noxon e diretto da Jean-Marc Vallée – autore per HBO anche di Big Little Lies, che l’anno scorso ha conquistato una pioggia di Emmy e Golden Globe – e che ruota tutto attorno al personaggio centrale interpretato da Amy Adams, che abbiamo incontrato a Los Angeles.

Come ha fatto suo questo personaggio?
Il punto di partenza è stato assolutamente il romanzo, in cui Gillian Flynn delinea la protagonista in gran dettaglio attraverso il monologo interiore, e questo mi ha aiutata molto. Credo che in Camille vi sia una profonda tristezza, che è stata «plasmata» dalle opinioni altrui e che ha generato in lei un forte bisogno di esprimere una propria «verità personale» attraverso le parole che incide sul suo corpo. Credo veramente che ci sia, soprattutto nelle donne, una tendenza a riflettersi nei commenti che gli altri fanno su di noi. E questo può complicare il nostro senso di identità.

In più c’è il tema del ritorno a casa, come sempre «impossibile».
Trovo, almeno nel mio caso, che tornare a casa ti riporti spesso anche ai drammi che una volta ti avevano spinto ad andartene. Si ricasca facilmente nei ruoli, più o meno salutari, che si erano adottati nell’infanzia. È molto difficile uscire dal quegli schemi, soprattutto quando sono disfunzionali, ma molto facile ricascarci.

Fra Camille e la madre c’è infatti un rapporto cruento…
Si, e certo non si risparmiano l’un l’altra. Hanno un rapporto reciprocamente allergico, Chiaramente è un dramma in cui tutti possono identificarsi, dato che tutti abbiamo una madre e un padre e le dinamiche che ci legano a loro influenzano tutta la nostra vita. E il rapporto madre-figlia ancor di più, visto che il legame col genitore dello stesso sesso ha sempre un effetto profondo sui figli.

«Sharp Objects» è comunque un giallo su dei delitti raccapriccianti.
Non è stato facile risiedere così a lungo in quel mondo di violenza fisica ed emotiva, e in particolare esercitata da donne nei confronti di altre donne. Mi ha certamente portata a pormi delle domande su me stessa in quanto genitore. Purtroppo non credo che la nostra storia sia molto più raccapricciante di certa cronaca quotidiana. Soprattutto penso che in questo momento tutti stiamo cercando di far fronte ad un livello di violenza dilagante in tutto il mondo, e di crescere i nostri figli con speranza ed ottimismo.

I personaggi centrali della storia sono tutte donne.
Il dolore femminile non è un argomento nuovo, ma credo anche che questa nuova generazione di fiction abbia davvero incrementato il pubblico femminile e che le donne abbiano voglia di rappresentazioni non tradizionali, capaci di ritrarci come esseri umani, non semplici archetipi. Su questo non c’è dubbio, e penso che ci sia ancora bisogno di un maggiore equilibrio fra storie maschili e femminili. Il pubblico c’è. Speriamo che la tendenza continui.

Hollywood sta attraversando un momento cruciale per quanto riguarda le donne.
Più di tutto penso al ruolo che può avere Hollywood nell’indicare un esempio anche ad altri settori. Spero che potremo continuare a fornire una piattaforma che dia una voce alle donne. Il Women’s Legal Defense Fund fondato dall’associazione Time’s Up è un’iniziativa che trovo molto importante: dà a tutte le donne un luogo sicuro per poter raccontare le loro storie e denunciare gli abusi subiti. Un passo avanti importante, e spero si possa continuare in questa direzione per fare sempre più in modo che le persone possano sentirsi sicure nei loro posti di lavoro.

Come uscirà l’industria del cinema da questa crisi?
Credo che se qualcuno si sente violato sia giusto anche che gli eventuali responsabili siano tenuti a fare ammenda. Ma spero soprattutto che in futuro si possano riuscire ad evitare queste situazioni. Non solo a Hollywood ma in tutte quelle industrie in cui le lavoratrici sono state solidali col movimento Time’s Up, dall’agricoltura alla scuola. Insomma che si riesca, come società, ad avere queste conversazioni, che mia figlia possa un giorno andare a lavorare senza il timore di sentirsi impotente.

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