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Amnesty, un anno fa a Rafah fu una «carneficina»

Amnesty, un anno fa a Rafah fu una «carneficina»

Margine Protettivo L'Ong che tutela i diritti umani in tutto il mondo accusa Israele di aver scatenato l'inferno per punire la città palestinese dopo la cattura di un militare da parte di Hamas. I morti furono 135, oltre 70 i bambini. Per Israele il rapporto di Amnesty è una "falsificazione della realtà"

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 30 luglio 2015
Michele GiorgioGERUSALEMME

È il “venerdì nero” di Rafah, il bombardamento durissimo subito dalla città a sud di Gaza, dopo la cattura da parte di Hamas del militare israeliano Hadar Goldin, intorno al quale ruota il rapporto di Amnesty International sull’offensiva “Margine Protettivo” della scorsa estate. Un rapporto che accusa le Forze Armate israeliane di aver commesso crimini di guerra. Per Israele invece, Amnesty avrebbe completamente «falsificato la realtà».

 

Amnesty ricostruisce nel dettaglio gli attacchi israeliani susseguitisi fra l’1 e il 4 agosto. I ricercatori della Ong che tutela i diritti umani nel mondo, hanno fatto uso di tecniche investigative e di analisi ad alta tecnologia, messe a punto da un team di ricercatori dell’Università di Londra. Si sono basati anche sull’analisi approfondita di fotografie e video e su testimonianze oculari. Il rapporto arriva alla conclusione che a Rafah avvenne una “carneficina”.

 

La cosiddetta “Direttiva Annibale” (di fatto un bombardamento a tappeto) attuata dalle forze armate israeliane per bloccare i rapitori di Goldin, causò un totale di 135 palestinesi uccisi fra cui 75 bambini e ragazzi. Israele, scrive Amnesty, «agì con una terribile indifferenza verso le vite umane civili e lanciò attacchi sproporzionati ed indiscriminati». Il bombardamento proseguì anche dopo il 2 agosto, quando l’esercito aveva già dichiarato morto il militare catturato da Hamas. Da qui nasce il sospetto, dice Amnesty, che gli attacchi successivi fossero motivati dal desiderio di «punire» l’intera Rafah. Sul terreno fu «un inferno di fuoco», mentre jet F-16, droni, elicotteri da combattimento e l’artiglieria colpivano le zone residenziali della città. Israele, aggiunge il rapporto, «si era tolto i guanti» ed ignorò deliberatamente ogni convenzione per la protezione dei civili in tempo di guerra. Un anno dopo, prosegue l’Ong, «le autorità israeliane si sono astenute dal condurre indagini credibili, indipendenti ed imparziali su queste violazioni del diritto internazionale ed umanitario». Le indagini interne condotte dall’esercito hanno avuto carattere limitato e non hanno ancora indicato dei responsabili. «Le vittime e le loro famiglie hanno il diritto a giustizia e indennizzi. Quanti sono sospettati di aver ordinato o commesso crimini di guerra – conclude Amnesty – devono essere giudicati».

 

Per Israele si tratta di falsificazioni. Secondo il ministero degli esteri il rapporto è lacunoso nella metodologia, nella ricostruzione dei fatti, nelle analisi e nelle conclusioni. Amnesty, afferma il ministero, è ossessionata da Israele. Tel Aviv a giugno ha presentato un suo rapporto sul conflitto della scorsa estate – in anticipo di qualche giorno sulla pubblicazione dell’inchiesta svolta dalla commissione incaricata dal Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani – nel quale esclude qualsiasi sua responsabilità riguardo le morti nei bombardamenti di centinaia e centinaia di civili, tra i quali donne e bambini. Tutto ciò che è accaduto un anno fa sarebbe colpa delle milizie palestinesi. Una conclusione smentita dalle inchieste di agenzie dell’Onu, organismi internazionali e persino da una Ong di militari israeliani (Breaking the Silence) ed invece avallata da due italiani, parte di un”team di esperti internazionali”: l’ex ministro degli esteri Giulio Terzi e l’ex capo di stato maggiore Vincenzo Camporini.

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