Amleto non abita più qui
A teatro A Spoleto 60 «Hamletmaschine» di Heiner Müller nella rilettura di Bob Wilson. Il regista texano ha lavorato sul testo insieme agli allievi della scuola Silvo D’Amico
A teatro A Spoleto 60 «Hamletmaschine» di Heiner Müller nella rilettura di Bob Wilson. Il regista texano ha lavorato sul testo insieme agli allievi della scuola Silvo D’Amico
È abbastanza impressionante, a sfogliarne il programma, come il festival di Spoleto, arrivato quest’anno all’edizione numero 60, continui ad ingrossarsi di titoli e appuntamenti. È vero che con quello di Napoli quello umbro è l’unico in campo teatrale a godere di un congruo contributo specifico, ma certo anche il programma può rischiare di debordare. Con tutta l’ammirazione per la fantastica Mannoia o per Mario Biondi, è forte il sospetto che siano dei nomi «civetta», fuori luogo qui anche per loro stessi.
In campo strettamente teatrale, le novità vere di richiamo erano praticamente tre: La scortecata di Emma Dante (rielaborazione di una favola di Basile destinata a girare nella prossima stagione); Oedipus rex secondo il lituano Tuminas (solo per due sere, purtroppo); la riproposta di Hamletmaschine di Heiner Müller da parte di Bob Wilson che l’aveva già realizzato, ancora vivente l’autore, in una università di New York 30 anni fa. Per il resto molta musica, spesso eccellente, star della danza e star mediologiche, da mezza Repubblica (anche con prole) a Raffaella Carrà. Wilson ha lavorato anche stavolta sul testo dell’autore tedesco insieme a un gruppo di giovani, gli allievi della Silvio D’Amico. Con un curioso effetto globale: era la sua regia a risultare più «accademica», anche perché ispirata molto fedelmente alla prima volta, rispetto ai giovani attori diplomandi che hanno preso gusto a dare vitalità e qualche sberleffo alla «perfezione» dello spettacolo. Del resto sono solo otto pagine, nell’antica edizione Ubulibri, a contenere quel testo che pretestuosamente torce le vicende di Amleto e della sua corte in uno specchio deformato dell’oggi. Anzi di quello «ieri» in cui il testo fu scritto, col muro di Berlino e la Ddr che si avviava ad una autoironica e crudele estinzione.
Heiner Müller del resto aveva l’occhio proiettato ben al di là del Muro (che passava a suo piacimento, negli ultimi anni da direttore del Berliner Ensemble). Era il neocapitalismo, e le sue perversioni e i rapporti interpersonali che causava, ad affascinarlo. Tranchant come una scure, malizioso come il suo sorriso da cui pendeva sempre un sigaro cubano. Non gli sarebbe dispiaciuto l’entusiasmo perfino ascetico con cui questi giovani attori hanno accettato le disposizioni di Wilson, vi ci sono sottoposti, e tutt’al più si sono espressi con un ghigno degli occhi. Non potremo sapere invece cosa il vecchio, irresistibile Heiner avrebbe detto dello spettacolo realizzato dal regista texano. Sempre perfetto nei tempi, nei movimenti e nel trucco degli attori, come ci ha insegnato allora ad apprezzare. Ma oggi è il mondo e i suoi rapporti che sono cambiati, e per limitarsi alle prime righe del testo, ha cambiato decisamente di senso «il bla bla dell’Europa» che Amleto sente sulle rive del mare…
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