Amianto e finti home movies, visioni d’artista a Firenze
Festival Il programma della sedicesima edizione di «Lo schermo dell’arte»
Festival Il programma della sedicesima edizione di «Lo schermo dell’arte»
È stata la cava di amianto più grande d’Europa quella di Balangero, non lontana da Torino. Oggi è un luogo in attesa di riconversione, che porta i segni della violenza degli uomini sulla natura, violenza che si è ripercossa su altri uomini. Questa storia è al centro dell’installazione pluricanale di Micol Roubini – finanziata dal progetto Italian Council – e allestita alla Strozzina fino a domani, 26 novembre. La montagna magica, questo è il titolo dell’opera (che rimanda a Thomas Mann), ha arricchito il nutrito programma della sedicesima edizione de «Lo schermo dell’arte», rassegna fiorentina sui rapporti tra immagini in movimento e arti visive, che si è tenuta la scorsa settimana al cinema La Compagnia, con un notevole afflusso di pubblico. Ma molti dei 30 film in programma sono ancora visibili in streaming. Il lavoro di Roubini mescola su tre schermi diversi livelli di narrazione: intanto il racconto degli abitanti del luogo che hanno vissuto la contaminazione sulla loro pelle, ma anche di scienziati e antropologi; poi le immagini del paesaggio di oggi, un misto di poetico, naturalistico e scientifico, in cui i prelievi sul territorio eseguiti per analizzare la radioattività, si alternano a sequenze di carattere simbolico. La montagna magica coniuga – secondo una tendenza pienamente collaudata nel campo della sperimentazione video – l’etico e l’estetico, l’ecologico e lo sperimentale, con la scelta di usare la camera a mano per rendere l’aura del reportage.
A parte l’omaggio a Diego Marcon, artista che privilegia nei suoi film l’animazione e di cui è in corso una personale al museo Pecci di Prato, quest’anno a Firenze è stato dedicato un focus all’artista olandese Guido van der Werve, che inscena performance nei suoi brevi film surreali, come essere investito da un’auto o precedere a piedi una nave rompighiaccio. Sorprendente il suo lungometraggio autobiografico Nummer Achttien – The Breath of Life, in cui racconta del suo incidente in bici, del coma e della successiva riabilitazione, alternando finti home movies in 16mm e ricordi della sua infanzia-adolescenza. Il registro di fondo è un mix di drammatico e grottesco, scandito – come in altri suoi lavori – dall’intervento della musica classica, sua grande passione: l’artista è anche pianista come dimostra in un cortometraggio dedicato allo Steinway.
Un modo narrativo singolare per parlare di arte è sicuramente quello concepito da Vasilis Katsoupis, che in Inside (presentato in anteprima italiana) fa interpretare a Willem Dafoe il ruolo di un ladro intrappolato in un lussuoso attico newyorkese, dove lotta per la sopravvivenza circondato da 38 opere di artisti famosi. Ma tra le cose migliori selezionate, vi sono senz’altro i lungometraggi diaristico-(auto)biografici che due cineaste hanno costruito sul rapporto con i rispettivi padri. In Dearest Fiona, l’artista e filmmaker australiana Fiona Tan – che da sempre porta avanti una personalissima ricerca sull’archivio e sulla memoria filmico-fotografica – lega la sua vita personale, attraverso le lettere inviatele dal papà dalla fine degli anni ’80 (periodo in cui si è trasferita ad Amsterdam), e quella dei Paesi Bassi, grazie alle immagini filmate di pescatori, contadini, operai e artigiani realizzate tra il 1900 e il 1934. Ne viene fuori un intenso found-footage che alterna sequenze in bianco e nero, virate e colorate a mano, materiali che hanno poi originato anche artwork come Technicolor Dreaming o Footsteps. Molto diverso è Radical Landscapes, che Elettra Fiumi ha dedicato al padre, Fabrizio Fiumi, uno dei protagonisti dell’architettura radicale e fondatore del gruppo 9999. Nel documentario, totalmente destrutturato cronologicamente e realizzato nell’arco di dieci anni, la cineasta ricostruisce simultaneamente il suo rapporto con il genitore, la vita e l’attività di quest’ultimo esplorando il contesto creativo fiorentino degli anni’70 e soffermandosi sulla famosa discoteca Space Electronic, spazio di musica, performance e sperimentazione visuale.
Numerosi anche i documentari sul mondo dell’arte e incentrati sugli artisti e sulla creazione di opere e installazioni, da Nam June Paik a Robert Irwin, da Ragnar Kjartansson a Katharina Grosse, dal percorso affrontato dal museo Stedelijk di Amsterdam per risolvere il forte squilibrio di genere e diversità delle collezioni esposte all’installazione di Giulia Cenci Dead Dance per la Biennale di Venezia, ben documentato da Domenico Palma. Diverse, infine, le opere realizzate grazie al sostegno di VISIO Production Fund 2022, fondo di produzione nato nell’ambito di VISIO-European Programme on Artists’ Moving Images, il progetto a cura di Leonardo Bigazzi dedicato ad artisti under 35 che utilizzano le immagini in movimento, dal semi-documentario alla Media Art, dalla performance al VR 360° e alla CGI. Tra essi segnaliamo: Raised in the Dust di Andro Eradze, visioni notturne di animali imbalsamati in un bosco illuminato dai fuochi d’artificio; Farming di Federica Di Pietrantonio che mescola gaming e videoarte; Wuhan Punk di Chris Zhongtian Yuan, elegia urbanistico-apocalittica sulla megalopoli cinese.
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