Amianto, un dramma che tocca tutta l’Italia, colpisce anche a distanza di cinquant’anni e chi è stato esposto a quella fibra vive anni, decenni, nella paura, tra un controllo e l’altro in una specie di vita sospesa. «Costruirono le stelle del mare. Li uccise la polvere. Li tradì il profitto» così la scritta sul monumento alle vittime dell’amianto a Monfalcone, a ridosso dell’enorme Cantiere Navale di Fincantieri. Le stelle del mare, le grandi navi, perché l‘amianto è stato usato almeno fino alla metà degli anni Ottanta e le vittime di mesotelioma e tumore polmonare sono in gran parte i lavoratori dei cantieri ma anche quei loro famigliari entrati in contatto con le fibre assassine quando le tute da lavoro si lavavano in casa.

I dati dell’istituto superiore di Sanità indicano nella provincia di Gorizia la più alta incidenza di casi di malattie asbesto correlate d’Italia: qui non c’è famiglia che non abbia vissuto lo strazio della malattia, della morte. Mentre in Italia i casi di mesotelioma sono uno ogni milione di abitanti, nella sola piccola provincia di Gorizia l’Istituto parla di 30/35 nuovi casi all’anno. «Qui la gente continua a morire» dice Luigino Francovig, già sindacalista Fiom in cantiere: «A oltre 30 anni dal divieto di utilizzo del materiale, assistiamo a 33/38 morti ogni anno. È stata colpa del Cantiere Navale, della ditta appaltatrice, del materiale, della mancanza di protezione, dei mancati controlli… È stata colpa del profitto, del fare soldi facili con la vita dei lavoratori». Un morto ogni undici giorni.

Il Fondo nazionale per le vittime dell’amianto, voluto da Prodi nel 2007, avrebbe bisogno di essere rifinanziato sburocratizzato e reso davvero universale, invece lo scorso dicembre un decreto sottoscritto dalla ministra del Lavoro Calderone e dal ministro dell’Economia Giorgetti riserva sorprese: un nuovo fondo, specifico per la cantieristica e la portualità, che prevede tra i beneficiari anche «le società partecipate pubbliche dichiarate soccombenti con sentenza esecutiva o comunque parti debitrici nei verbali di conciliazione giudiziale». Ci pensa subito la segreteria Cgil a tradurne il senso: «Norma scritta e pensata per una società specifica, Fincantieri, a cui si regalano 20 milioni di euro per il 2023 e norma di nessuna utilità per i lavoratori vittime dell’amianto». Un benefit a chi, dunque, è stato condannato penalmente e civilmente per aver causato la malattia e la morte di tantissimi lavoratori e non ha mai avuto problemi di solvibilità nell’affrontare i risarcimenti.

Poi, con la legge di bilancio, si rifinanzia lo stesso fondo per il triennio 2024-2026 per un totale di 60 milioni. Così la Uil: «Il Fondo viene rifinanziato non nella sua interezza ma solo per il settore della cantieristica navale. Una ingiustificata azione di supporto finanziario esclusivo con cui si agevolano risorse pubbliche verso alcune società partecipate colpevoli di aver creato malattie e lutti». Insorgono le associazioni Esposti amianto e l’avvocato Giancarlo Moro completa il quadro sottolineando che le risorse sono state reperite attraverso la diminuzione del fondo sociale, destinato ai lavoratori, per occupazione e formazione.

Tanta rabbia anche a Monfalcone, fino in Consiglio comunale quando Cristiana Morsolin (La Sinistra) chiede conto alla sindaca dei contenuti delle sue tanto reclamizzate trattative a Roma proprio su questi temi. Per mesi Annamaria Cisint aveva accusato la sinistra di acquiescenza nei riguardi di Fincantieri, era stato uno dei suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale, e adesso? Adesso che il suo partito, il suo governo, dà i soldi a Fincantieri invece che alle vittime non ha niente da dire? «Oggi abbiamo la prova che per la Lega e per Cisint sono stati anni di propaganda esclusivamente strumentale» dichiara Morsolin mentre la seduta si surriscalda e volano stoccate al vetriolo. Anche il consigliere regionale Enrico Bullian (Patto per l’Autonomia) riprende con forza l’argomento ma a destra trova solo silenzio. La polemica si allarga e arriva in Parlamento: recentissima l’interrogazione presentata dai deputati Pd Serracchiani e Zan che vogliono evidentemente tentare un recupero dopo qualche scivolone.

Molto dettagliato l’atto di sindacato ispettivo di Tito Magni (Alleanza Verdi e Sinistra), presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro, che chiede correttivi all’attuale normativa ricordando, tra l’altro, che per le società partecipate pubbliche gli oneri finiscono sempre a carico della collettività mentre i profitti vengono distribuiti ai soci compresi quelli privati.