America, un anno all’insegna di Primo Levi
Centenari Molte le iniziative, letture e convegni sullo scrittore piemontese. Che controbilanciano la freddezza con cui fu accolta la traduzione in inglese di «Se questo è un uomo» (nel 1959)
Centenari Molte le iniziative, letture e convegni sullo scrittore piemontese. Che controbilanciano la freddezza con cui fu accolta la traduzione in inglese di «Se questo è un uomo» (nel 1959)
«L’America è il baricentro della cultura ebraica oramai», osservò Primo Levi in occasione di una breve intervista concessa a Giorgio Segre e apparsa sul foglio della gioventù ebraica italiana HaTikwà nel 1979. «Si può dire che in tutti gli Stati Uniti c’è questa presenza differenziata, segmentata in una quantità di segmenti, che vanno dal classicismo addirittura, fino all’ebraismo più laico di Bellow, per intenderci. È curioso come sia un fenomeno di grande scala questa trasmigrazione, non dico dell’ebraismo, ma del baricentro dell’ebraismo, che non è più in Polonia, in Russia, in Ucrania, in Lituania. Ma è a New York».
SE, PER LEVI, gli Stati Uniti erano oramai divenuti una forza catalizzatrice della cultura ebraica mondiale, le opere dell’autore piemontese, tuttavia, hanno goduto di fortune alterne presso l’influente e variegato mondo culturale statunitense. Una ricezione tardiva, quella nordamericana, posta ulteriormente in evidenza dal frenetico interesse manifestato nei confronti dello scrittore in anni più recenti.
In aggiunta agli innumerevoli eventi culturali in programma quest’anno per commemorare l’anniversario del centenario della nascita dell’intellettuale torinese, sono state numerose le iniziative promosse recentemente volte a divulgarne le opere, non solo a beneficio di un pubblico di nicchia, ma altresì a favore di una platea di appassionati e curiosi dai tratti talvolta più disparati. Dalla pubblicazione del vademecum didattico Approaches to Teaching the Works of Primo Levi, alla recentissima opera teatrale di Geoffrey Williams incentrata sui racconti de I sommersi e i salvati, passando per le Lectures leviane organizzate dalla Università di Princeton nel 2018, le occasioni per diffondere maggiormente la produzione letteraria dell’autore sono state molteplici. Un’attenzione, quest’ultima, che appare in qualche modo controbilanciare il quasi totale disinteresse espresso da una larga parte del pubblico statunitense all’indomani della pubblicazione in lingua inglese, nel 1959, di Se questo è un uomo. Si sarebbe addirittura dovuto attendere l’avvento degli anni Ottanta, con le traduzioni di Sistema periodico (1984) e, l’anno successivo, di Se non ora, quando? (con la prefazione del noto critico Irving Howe) prima di poter assistere a una ricezione gradualmente più attenta e capillare della narrativa leviana in territorio nordamericano.
UNO SNODO di particolare rilievo, in questo senso, è rappresentato dalla pubblicazione, nell’autunno del 2015, della traduzione The Complete Works of Primo Levi presso la prestigiosa Norton Liveright. Tradotta per la prima volta in lingua inglese e prefazionata dalla scrittrice premio Nobel per la letteratura Toni Morrison, l’opera omnia dello scrittore torinese costituisce una tappa di assoluta rilevanza nella storia recente delle traduzioni dell’autore negli Stati Uniti, concorrendo significativamente alla divulgazione di colui che viene ormai ritenuto, per dirla con l’editore Robert Weil, «one of the greatest writers of the 20th century». Ed è proprio in questa ottica che va collocata, tra i numerosi eventi che stanno caratterizzando il calendario culturale di quest’estate celebrativa, la decisione, da parte dell’Italian Cultural Institute di New York e della sede newyorkese del Centro Primo Levi, di presentare una lettura pubblica di Se questo è un uomo presso la New York Public Library.
ESEGUITA lo scorso giugno in più di quaranta lingue diverse (tante quante sono le traduzioni della prima opera di Levi) da accademici, artisti e scrittori arrivati da tutto il mondo, tale performance oratoria ha voluto mettere in luce la drammatica attualità della testimonianza di un intellettuale divenuto – anche negli Stati Uniti – un simbolo della memoria.
Costellato da iniziative commemorative, l’anno in corso emerge pertanto all’insegna del ricordo. Benché fonte di coscienza etica, la memoria umana è «uno strumento fallace», osservò Levi nel noto incipit de I sommersi e i salvati (1986). «È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento». Vero e proprio monito sulla natura sfuggevole e composita della funzione mnemonica, la frase d’apertura dell’ultima opera dell’autore funge tuttavia anche da perenne esortazione – a più di trent’anni di distanza – a porre stabilmente al centro delle nostre preoccupazioni civiche il ricorrente rischio di oblio del passato.
UN RICHIAMO, quest’ultimo, a cui il mondo culturale statunitense sembra aver massicciamente aderito anche in virtù di una maggiore e più intima conoscenza del tragico universo esistenziale dello scrittore italiano, rendendo così doverosamente omaggio a una figura unica e preziosa del panorama culturale novecentesco.
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