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America Oggi. Cinema dove vai?

America Oggi. Cinema dove vai?Lindsay Lohan e James Deen in The Canyons

Il film Presentato The Canyons di Paul Schrader atteso fuori concorso alla Mostra di Venezia. Una riflessione coraggiosa sul destino della settima arte

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 31 luglio 2013

Il post impero di Bret Easton Ellis incontra il post cinema di Paul Schrader. In una proiezione speciale al Lincoln Center, organizzata alla vigilia dell’uscita americana del suo film in video on demand Paul Schrader ha presentato The Canyons, prodotto della sua collaborazione con l’autore di American Psycho, Lindsay Lohan e James Deen. Un film ipnotico, concettualmente incandescente e, più di ogni cosa, una riflessione su fare cinema (in America) oggi. Ancor più spericolata, e coraggiosa, perché realizzata da un regista/sceneggiatore emerso –insieme a Coppola, Scorsese, Lucas, Spielberg…- in un momento della storia hollywoodiana in cui gli autori dalla visione forte avevano, nei confronti dell’industria, un potere che adesso non hanno più. Il q&a che segue è tratto da un incontro di Schrader con il pubblico

Come è nato il film?

Bret aveva scritto una sceneggiatura, che io avrei dovuto dirigere, Bait. I soldi venivano dalla Spagna e l’Euro era in declino quindi eravamo bloccati. Si trattava del mio secondo progetto di fila che rischiava di sfumare nel nulla. Così ho scritto a Bret: basta, qui non si va da nessuna parte. Facciamo qualcosa di completamente diverso. Tu scrivi, io dirigo e ci mettiamo i soldi. Così siamo liberi. The Canyons è stato inteso fin dall’inizio come un film da distribuire in video on demand. Da lì le immagini dei cinema chiusi che si vedono all’inizio. È cinema post sala cinematografica..Anche in un altro senso: quando ci siamo riuniti con il cast ho detto a tutti di immaginarsi una fila di losangelini che stanno aspettando di vedere un film. In realtà il cinema ha chiuso, ma loro rimangono lì davanti perché non hanno nessun altro posto in cui andare. È in quella chiave che ho pensato alla sceneggiatura di Bret. Come se fosse ambientata in un aldilà popolato di giovani che parlano di un film da fare di cui non importa niente a nessuno. È il post-impero di Bret nel mio post-cinema. Rompendo il patto di fiducia che vincola il rapporto tra un direttore di festival e un autore, la direttrice di SXSW ha accusato The Canyons di essere «freddo, morto dentro». Imputo lo sgarro etico della signora al fenomeno Lindsay Lohan – una sindrome violentissima che porta persone normali a fare cose stupide – ma mi chiedo anche cosa si aspettasse. Questo film è stato disegnato da Bret e da me per essere (e riflettere un mondo, ndr) «freddo, morto dentro». Uno dei vantaggi di averlo realizzato in totale autonomia è proprio non aver dovuto cedere alla richiesta di rendere la storia o i personaggi più accattivanti. Senza contare che uno studio non ci avrebbe mai permesso di scritturare Lindsay o James. Alla fine, ne è uscito un oggetto che io penso più di Bret e che Bret pensa più mio. Probabilmente ci siamo incontrati e metà.

Puoi parlare del modo in cui è stato realizzato?

Bret Braxton ed io ci abbiamo messo trentamila dollari ciascuno. Attraverso Kickstarter ne abbiamo raccolti centoseimila. A parte il fatto che mi attirava l’idea di lavorare con Bret, mi incuriosiva la possibilità stessa di fare un film secondo questo paradigma. Una situazione di collaborazione totale, in cui abbiamo usato moltissimo i social media, abbiamo fatto il fundraising via internet, abbiamo chiesto alle persone di lavorare per cento dollari la settimana, o gratis, in cui tutte le location erano gratuite – persino la casa di Malibu, che è quasi un personaggio del film, l’abbiamo trovata gratis via Kickstarter. Sotto tutti i punti di vista – il finanziamento, la realizzazione, la promozione e adesso la distribuzione, The Canyons è un progetto senza precedenti. Non avere uno studio che ti soffia sul collo è un vantaggio enorme. L’unica volta che ho agito con una libertà simile è stato su Mishima. Si possono accettare dei rischi interessanti. Al peggio, come ho detto a Bret, avremmo perso i nostri soldi. Che non erano nemmeno tanti.

Molti giudicherebbero un rischio scritturare Lindsay Lohan…

Lindsay ha superato la sua fase adolescenziale, da teen idol. Oggi è entrata nella sfera di attrici come Ann Margret Angie Dickinson…tough girls americane con la voce roca di chi fuma troppo. E lei è consapevole di questo cambiamento. Sul film era responsabile del suo make up, del guardaroba e dei suoi trasporti al set. Il trucco sul viso se l’è fatto così pesante perché pensa che le lentiggini ricordino al pubblico la Lindsay bambina. E lei vuole distanziarsi da quei ruoli. Io continuavo a dirle che trovavo le lentiggini adorabili, ma non c’è stato niente da fare. Una volta, durante la lavorazione di Gli spostati, parlando di Marilyn Monroe, John Huston ha detto: mi chiedo perché mi sono infilato in un’esperienza simile… fino che, alla sera, vedo i giornalieri. Allo stesso modo con Lindsay: Ma perché mi sono messo in questo pasticcio? Poi guardo il monitor e la ragione e tutta lì: certe persone hanno l’abilita di affascinarci, farsi guardare. Perché Tom Cruise non uno che gli assomiglia? Non so. Perché Lindsay? Non so. Ma rilavorerei con lei in un battibaleno. È magica. E spero che riesca a dimostrare di essere anche affidabile. Perché c’è moltissima gente che vorrebbe lavorare con lei. Un regista può girare in modo da nascondere dei cattivi comportamenti, non la mancanza di carisma.

Anche se indirettamente, questo film tocca il tema della pornografia, che lei aveva già trattato in «Autofocus» e «Hardcore». …

Autofocus era molto più esplicitamente un film sulla pornografia. La presenza in The Canyons di James Deen, una star del cinema per adulti, non ne fa necessariamente un film su quel soggetto. Quando sei alle prese con delle storie, sei alle prese con degli elementi primari. E non c’è nulla di più primario del sesso e della violenza –kiss kiss, bang bang. Quello che però trovo interessante è che i ragazzi nel film riflettono una generazione cresciuta in un mare di pornografia internet. Non so come una cosa del genere possa impattare o meno sul loro ecosistema morale. Certo che, oggi, chiunque cresca dei figli non può ignorare questo fattore della cultura.

Come è stato lavorare con Ellis?

Mi piace molto Bret. Il suo stile. Non ho praticamente toccato la sceneggiatura, se non rispetto a un paio di problemi credibilità e perché ho aggiunto i cinema chiusi. Dei miei film, questa è la sceneggiatura che ho toccato di meno insieme a quella che Harold Pinter aveva scritto per The Comfort of Strangers. E non l’avevo toccata per la stessa ragione. Mi piaceva la voce di Harold e mi pace quella di Bret, quindi non volevo interferire.

Quale pensa sarà il passo successive del cinema post cinema?

Il prossimo passo è non avere nemmeno più bisogno di Ifc, la compagnia che ci distribuisce in Vod. Larry Clark ha recentemente cercato di autodistribuire il suo film, Marfa, Texas. E non ha funzionato. C’è ancora bisogno di un filtro distributivo. Ma gli studios sono dei dinosauri. Google e Amazon compreranno anche anche quelli.

È un po’ il discorso che hanno fatto Spielberg e Lucas..

Steven e George parlavano di un eccesso di produzioni a budget spropositato. Non del problema più endemico ovvero che l’entertainment sta migrando dalla sfera pubblica a quella privata.

Farebbe un altro film come questo?

Ci vuole un progetto che si presti. Non è un modello riproducibile in ogni occasione. Ma sto parlando con Spike Lee della possibilità di un film insieme sul giudice della Corte Suprema Clarence Thomas. Quella sarebbe una combinazione adattissima!

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