Luigi Pellizzoni, sociologo dell’ambiente e del territorio presso la Scuola Normale Superiore, propone ai lettori un libro intrigante, Cavalcare l’ingovernabile. Natura, neoliberismo e nuovi materialismi (Orthotes, pp. 246, euro 22), che si confronta con le principali trasformazioni sociotecniche in corso nel nostro periodo storico e con le nuove forme assunte dal dominio. Se lungo tutta la modernità, il dominio di una parte dell’umanità – quella bianca, ricca, europea e di sesso maschile – sulle altre forme di vita – definite come natura o vicine alla natura (gli animali, gli schiavi, le donne, le popolazioni delle colonie) – è stato favorito dal dualismo, nelle società degli ultimi tre decenni non è più così.

TECNOLOGIE E SAPERI si alimentano sempre più di ibridi, superando i dualismi propri della modernità, ad esempio quelli di natura e umanità, materia e linguaggio, vivente e inanimato. Il superamento dei dualismi non costituisce, però, una liberazione dalle relazioni di dominio. Questo accade sia perché le forme moderne del dominio fondate sui dualismi gerarchici continuano a funzionare, alimentando, ad esempio, il razzismo che divide tra popolazioni che devono vivere e popolazioni che possono essere lasciate morire, sia perché le trasformazioni tecniche e tecnologiche non dualiste – come le nuove biotecnologie, la geoingegneria, i mercati del carbonio, il potenziamento umano – accentuano i rapporti e le volontà di dominio. Nell’analisi di Pellizzoni, chiarita nei particolari nel capitolo primo, intitolato «Il nuovo dominio della natura», «dominare significa sempre meno controllare, nel senso della capacità di mantenere il comportamento della materia entro parametri predefiniti» e «sempre più lavorare su e tramite il cambiamento stesso».

Con una parte delle innovazioni socio-tecniche in corso, il dominio non richiede il controllo, ma l’imprevedibilità e la contingenza: esso si avvantaggia dell’incertezza, potendo agire ancora di più «una volontà di potenza allo stato puro, sfrenata, priva di causa efficiente o finale». Il cambiamento è profondo. Lo abbiamo detto: esso non annulla le forme del dominio fondato sui dualismi, ma attesta l’emergenza di un nuovissimo modo di operare del dominio, che esalta in modo ulteriore la ragione strumentale.
La sfida che questa emergenza pone è enorme, sia alla conoscenza critica che alle forme del governo interessate alla democrazia e all’uguaglianza. Pellizzoni affronta questo problema nella seconda parte del testo, in tre capitoli dedicati, rispettivamente, a «Natura, neoliberismo e critica»; «Nuovi materialismi e critica del dominio»; «Politica, ontologia e prefigurazione», nei quali cerca strade possibili per la critica e per una politica capaci di mettere in discussione le forme consolidate e quelle odierne di dominio, giungendo a pensare diversamente il non-dualismo e le forme di vita.

IL TESTO SI PROPONE, evidentemente, un compito difficile, in un mondo in cui le forze economiche e scientifiche prevalenti vanno nella direzione di mettere a valore anche la crisi climatica e le minacce ecologiche: definite da tali forze come incertezze attraverso la quali fare, in qualche modo, soldi. È, necessariamente, una ricerca aperta quella proposta nel libro, che Pellizzoni ribadisce nel capitolo conclusivo dal titolo «Il come e quando della prefigurazione». Qui, il testo apre alla prospettiva di rilanciare sulla nozione di natura. Di fronte all’indeterminatezza e ai non-dualismi messi a valore e sottoposti al dominio, la natura si pone come realtà irriducibile a ogni concettualizzazione o appropriazione: è la realtà che sfugge, che si pone come scarto anche di fronte ai tentativi di manipolazione. Non tutto può essere manipolato, in altre parole: e questo è un ostacolo per le tecniche e tecnologie odierne che tendono ad assorbire e assemblare tutto. Il vivente non appropriabile propone forme di stare al mondo non sottoponibili alla ragione strumentale.
È su questa strada che Pellizzoni propone di fare ricerca insieme a tutte le proposte che fanno proprie le necessità della giustizia ambientale e, quindi, sociale, in quanto – essendo i rapporti di dominio incarnati nella materia, nella tecnologia e nelle istituzioni – «non c’è emancipazione sociale senza liberazione della e nella natura». È una ricerca lunga da fare in modo collettivo e plurale, ma necessaria per cercare, come scrive Pellizzoni nell’ultima pagina, «una vita giusta».