Ambientalisti contro le ruspe anti Xylella Primi ulivi abbattuti
Sono stati abbattuti ieri i primi sette alberi d’ulivo attaccati dalla Xylella fastidiosa in località Fascata, ad Oria (Brindisi). Quest’oggi invece vi sarà la bruciatura delle ramaglie e la pulizia […]
Sono stati abbattuti ieri i primi sette alberi d’ulivo attaccati dalla Xylella fastidiosa in località Fascata, ad Oria (Brindisi). Quest’oggi invece vi sarà la bruciatura delle ramaglie e la pulizia […]
Sono stati abbattuti ieri i primi sette alberi d’ulivo attaccati dalla Xylella fastidiosa in località Fascata, ad Oria (Brindisi). Quest’oggi invece vi sarà la bruciatura delle ramaglie e la pulizia dei terreni. Ad opporsi alle operazioni previste dal piano d’intervento messo a punto da Silletti ed approvato dal corpo forestale nelle scorse settimane, una cinquantina di ambientalisti che per diverse ore hanno bloccato le operazioni salendo sugli alberi e sui macchinari utilizzati dagli operai al lavoro in quello che è stato individuato come il focolaio della diffusione della Xylella. In realtà, la questione è alquanto complessa e poco chiara ancora oggi.
Dopo il primo allarme lanciato nel 2011 da un esperto californiano alla visione dei primi essiccamenti (che teorie complottiste accusano di essere colui il quale ha portato il batterio in Italia e nel Salento per distruggere gli olivi secolari e favorire l’ingresso degli Ogm) ed i primi fondi stanziati dalla Regione Puglia nel 2013 una volta individuato il batterio, il tempo è passato invano nell’indifferenza dei più (Ue compresa).
Ma come è arrivato il batterio in Puglia? Durante un workshop svoltosi nel 2010 all’Istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Valenzano, in provincia di Bari, si affermò che per motivi scientifici, fu autorizzata l’introduzione di germi patogeni a scopo di sperimentazione attraverso un campione. Lo Iam nei giorni scorsi ha però negato di aver mai avuto il batterio nei suoi laboratori, anche se la procura di Lecce che ha aperto un’inchiesta sull’infezione in corso, non ha potuto accedere agli atti. Una seconda ipotesi invece, sostiene che l’arrivo del batterio in Puglia, sarebbe da addebitare all’importazione di piante ornamentali dall’Olanda (come oleandri, ciliegi o mandorli) a Gallipoli, tra i luoghi in cui si è diffusa per prima l’infezione. Piante ornamentali che provengono dal Costa Rica dove il batterio avrebbe la sua origine.
Sia come sia, se non fosse stato per le associazioni di categoria e pochi agricoltori, nessuno avrebbe saputo e capito cosa stesse accadendo. E così si è corso ai ripari con grave e colpevole ritardo. Soltanto a febbraio viene nominato commissario delegato per l’attuazione degli interventi per far fronte all’emergenza, il comandante della Regione Puglia della forestale Giuseppe Silletti. A metà marzo arriva la raccomandazione della Commissione Europea di eradicare tutti gli ulivi e le altre piantagioni attaccate dal batterio. A ruota, la Francia decide di bloccare l’importazione di ben 102 specie vegetali a rischio Xylella.
Nel frattempo cresce la protesta in tutto il Salento contro il piano previsto da Silletti. Gli agricoltori e le associazioni di categoria si spaccano tra chi è favorevole all’eradicazione partita ieri e chi vuole intervenire con metodologie e cure naturali. Esperti ricercatori biologi e agronomi italiani, sostengono che distruggere gli ulivi infetti non basterà a sconfiggere il batterio e ad arrestare l’epidemia. Il batterio, dormiente per oltre 30 anni sostengono i ricercato, si è improvvisamente svegliato per cause ancora da accertare. In ogni caso, va combattuto direttamente il batterio, insieme all’insetto che è il suo vettore, il Philenus spumarius, comunemente noto come «sputacchina» e molto diffuso. In pratica un “mostro” a tre teste, un “super-organismo” composto da batterio, pianta, insetto.
In tutto questo, due agricoltori brindisini hanno fatto ricorso al Tar di Lecce contro l’applicazione del piano Silletti sui loro terreni. Ottenuta la sospensiva, la sede di Lecce si è dichiarato incompetente investendo della decisione il Tar del Lazio dove è già arrivato un ricorso presentato da ben 26 aziende agricole. L’ennesimo guazzabuglio all’italiana è servito.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento