Altro che exit: la destra vuole cambiare l’Europa dall’interno
Visite, contatti e trame in prospettiva delle europee del prossimo anno, per coordinarsi al Consiglio e occupare posti a Strasburgo: l’estrema destra europea, in particolare la sua ala pro-Nato, ha […]
Visite, contatti e trame in prospettiva delle europee del prossimo anno, per coordinarsi al Consiglio e occupare posti a Strasburgo: l’estrema destra europea, in particolare la sua ala pro-Nato, ha […]
Visite, contatti e trame in prospettiva delle europee del prossimo anno, per coordinarsi al Consiglio e occupare posti a Strasburgo: l’estrema destra europea, in particolare la sua ala pro-Nato, ha voltato le spalle all’exit e gioca la carta dell’entrismo nella Ue per cambiare l’Europa dall’interno. A favore di un’Europa delle nazioni. Una strada spianata ormai dal Partito popolare, il primo gruppo politico europeo, con il capogruppo, Manfred Weber, che punta a un accordo con i conservatori dell’Ecr, a cui appartengono Fratelli d’Italia, oltre al Pis polacco.
Meloni e Morawiecki si sono incontrati ieri a Varsavia. L’alleanza, cementata dalla chiusura delle frontiere all’immigrazione, trova ora nuovo terreno: la volontà di frenare il Green Deal.
Malgrado l’esplosione del gruppo Visegrad e la relativa marginalizzazione dell’Ungheria a causa della guerra in Ucraina, è all’opera l’eredità di Orbán. Oltre all’Italia e alla Polonia, la destra alleata dell’estrema destra sta avanzando in tutta Europa: Svezia, Finlandia e Lettonia, forse anche la Spagna dove si vota il 23 luglio.
Il Ppe per il momento non riesce a stabilire una data per il congresso, che dovrà decidere se proporre un nome – e quale – per lo Spitzenkandidat alla presidenza della prossima Commissione europea che nascerà dopo il voto europeo del giugno 2024.
Se tutto funzionasse come nel passato, sarebbe semplice: Ursula von der Leyen, l’attuale presidente, è della Cdu (Ppe) e sembra abbia l’intenzione di ripresentarsi, anche se gli Usa la vedrebbero alla testa della Nato (Stoltenberg è stato confermato per un altro anno).
Eppure, la situazione è confusa: von der Leyen fa attendere la sua decisione, la tradizionale «grande coalizione» tra Ppe e Socialisti e democratici (S&D) ha già dovuto allargarsi ai liberal di Renew nel 2019.
Le previsioni per le europee del prossimo anno sono di un calo delle tre forze principali: il Ppe dovrà fare i conti con la crisi dei francesi di Lr (nei sondaggi sotto il 5%) e di Forza Italia. S&D avrà egualmente un problema con il Ps francese, in stato confusionale tra la Nupes e l’idea della vecchia socialdemocrazia, e anche Renew pagherà la disaffezione verso Macron.
Siamo al paradosso che all’apertura della presidenza semestrale spagnola del Consiglio Ue, Pedro Sánchez (Psoe), abbia esplicitamente scelto la cristiano-democratica von der Leyen, mentre il suo compatriota, capogruppo Ppe a Strasburgo, Manfred Weber (Csu), stia facendo una guerra sempre meno sotterranea per potersi infilare come Spitzenkandidat dei conservatori (lo era già nel 2019, ma il posto di presidente della Commissione gli era stato sfilato dalla mossa di Emmanuel Macron in favore dell’outsider von der Leyen).
Weber sta cercando di tessere un’alleanza Ppe ed Ecr, liberandosi dei socialisti e spaccando Renew. Non è solo una manovra politicista, ma l’abbozzo di un programma comune: l’immigrazione prima di tutto, le immagini dalla Francia aiutano, anche se l’argomento oggettivamente divide perché mette tutti contro tutti, ognuno pronto a scaricare sul vicino il «fardello».
Ma ormai c’è l’affondo contro il Green Deal della Commissione, il “progetto” della Commissione (guidato dal vice-presidente Frans Timmermans, socialista). Von der Leyen ha scritto a Weber: «Il cambiamento climatico è un fatto» che non può essere negato, noi «abbiamo un’idea, una visione» che stabilisce che «si può avere prosperità e al tempo stesso proteggere la natura e l’ambiente».
Il tentativo di alleanza anti-ecologia di Ppe e Ecr avrà un chiarimento con il voto in plenaria (a luglio o settembre) sulla legge del Ripristino della natura, che intende adottare l’accordo di Montreal sulla biodiversità, con l’obiettivo di recuperare almeno il 30% delle superfici terrestri e marine degradate entro il 2030 (già fermata da tre commissioni parlamentari).
Finora, il Ppe ha votato una trentina di accordi (su 50) del Green Deal, con S&D, Verdi e Renew, contro le destre estreme. Ma l’intesa con l’estrema destra si è costruita sulla difesa degli agricoltori e delle tecniche di produzione intensiva (pesticidi), in nome della paura di penurie alimentari e dell’inflazione.
L’Olanda liberal esita di fronte ai recenti successi elettorali dell’estrema destra agraria, il belga Alexandre de Croo ha chiesto di «schiacciare il tasto pausa», seguendo i dubbi di Macron su un eccesso di regolamentazioni.
La Lega vorrebbe entrare nella nuova alleanza. Ma c’è il nein tedesco per il gruppo Identità, dove siede l’ultra destra dell’Afd. Weber avverte: chi vuole una partnership con il Ppe deve essere «pro europeo, pro Ucraina e pro stato di diritto». Ma la Polonia del Pis di Morawiecki è scusata: per meriti pro-Ucraina.
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