Il disastro a cui il Pd è sinora andato incontro nella saga del Colle, e quelli che lo attendono non appena arriveranno al pettine i prossimi nodi, ancor più delicati e rischiosi, è figlio di una pazza idea alla quale si sono abbandonati con stoltissima leggerezza tutti i partiti sepolti dalle macerie della seconda repubblica. E’ il miraggio di salvarsi arretrando, riscoprendo cioè i trucchi, le abitudini e i sotterfugi della «prima repubblica».
A cominciare dal presidente uscente della Repubblica, che butta là come se nulla fosse un insano paragone con il 1976, nemmeno il muro fosse ancora lì al suo posto e il mondo, nonché la Germania, divisi in due ordinati blocchi. A Montecitorio si chiacchiera in libertà di «governi balneari», come se dietro l’angolo Emilio Colombo, che in materia era un maestro insuperato, fosse tornato giovinetto. Il primo partito del paese si reca all’appuntamento cruciale per la poltrona del Colle diviso in bande armate, ciascuna dotata del suo peculiare intrigo e del suo piano di battaglia, come faceva la vecchia Dc. Non avendo però nessuna delle doti che permettevano alla «balena bianca» di lacerarsi in guerre feroci e restare tuttavia compatta.
All’apparenza il Pdl versa in condizioni migliori. E’ compatto e deciso, ha una strategia precisa, i suoi parlamentari, come tanti soldatini, obbediscono agli ordini. Però è un’illusione ottica. Il partitone della destra soffre quanto e più di quello dell’altra sponda e se non lo si vede bene è solo perché Silvio Berlusconi fa da coperchio a una pentola che prima o poi finirà per esplodere. La tentazione di correre ai ripari tornando indietro è comune a entrambi perché comune è il vicolo cieco nel quale i due partiti si dibattono senza intravedere via d’uscita.
Dal giorno dopo le elezioni in poi, il 90% dei media e degli opinionisti di grido ha spinto con rarissima miopia nella direzione del «ritorno al futuro». I partiti, e il Pd molto più del rivale, si sono illusi di poterlo fare senza pagare dazio. La tragedia in corso in queste ore a Montecitorio dimostra quanto fosse illusoria quella speranza.
L’idea di consociare i due «poli» come nel ’76 glissava sul fatto che nelle elezioni di quell’anno i partiti maggiori avevano fatto il pieno di voti come mai prima d’allora e dimostrato di avere una presa saldissima sul proprio elettorato. I mesti epigoni attuali di voti ne hanno appena persi, insieme, più di 13 milioni (una nazione) e quanto a presa sull’elettorato sono timide donzelle alle prese con scalcianti purosangue. Sono stati disarcionati di brutta alla prima sgroppata.
Il Pd si è presentato al meeting con quattro o cinque strategie completamente diverse e tra loro antagoniste, anzi inconciliabili. Chi voleva un presidente che aprisse le porte al governo di minoranza (Bersani), chi invece un capo dello stato che garantisse un governissimo camuffato da «governo del presidente» e destinato a durare nei secoli (D’Alema, Letta e con loro mezzo establishment), chi, al contrario, puntava su un successore di Napolitano che schiudesse le porte al voto immediato (Renzi). Più varie ed eventuali.
Nemmeno la Dc, che era la Dc, avrebbe retto a strattoni tanto violenti e tanto divergenti. Ma il Pd non è la Dc. Non gode della condizione di monopolio della rappresentanza politica nel proprio bacino: milioni di voti per Grillo lo hanno dimostrato. Non può contare su uno scenario internazionale che ne garantisca o addirittura imponga, in nome degli equilibri globali, la tenuta unitaria di fondo nonostante le divisioni e le guerre intestine.
Nelle condizioni date, la sfida del Colle non poteva che risolversi in una specie di Hunger Games parlamentari, alla fine delle quali rischia di restare vivo un solo concorrente, ma senza più le forze per dare vita a uno straccio di partito.
La terza repubblica non può essere un revival farsesco della prima, interpretato oltretutto dagli attempati attori della seconda. Il coraggio di andare avanti, con quel tanto di rischio e incertezza che cambiare le cose inevitabilmente comporta, avrebbe suggerito di convergere sulla candidatura di Rodotà magari rodendosi i gomiti per non essere stati i primi ad avanzarla. Il costo della pavidità, travestita da prudenza, è già stato rovinoso. Se il Pd non trova il coraggio di uscire dai suoi fortilizi assediati e alla lunga indifendibili, il prezzo, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, sarà molto più salato.