La luna occhieggia dietro il campanile della settecentesca Piazza del Popolo di San Vito al Tagliamento ed è già passata la mezzanotte. Capossela sciorina l’elenco dei liquori di All’una e trentacinque circa e l’orchestra è lanciata a tutto swing trascinata dal sax di Francesco Bearzatti, ospite speciale per l’occasione; dalla platea la gente si alza e balla felice. Questa potrebbe essere una delle immagini del concerto Altri tasti che il cantautore Vinicio Capossela ha tenuto con l’Orchestra d’archi Arrigoni, prima assoluta del progetto che lo vede presentare l’ultimo disco Tredici canzoni urgenti, una manciata di brani da Camera a Sud nel trentennale della sua uscita e alcuni altri classici rivestiti dai sontuosi arrangiamenti di Raffaele Tiseo.

IL COLPO D’OCCHIO è notevole: Capossela è circondato da una trentina di musicisti: una selva d’archi, ottoni, legni, percussioni e anche un’arpa. Lui si alterna tra pianoforte e chitarra, zompetta felice sul palco. Si capisce subito che è in stato di grazia. La parte del leone la fanno le tredici canzoni del nuovo disco, giustamente premiato con la Targa Tenco come miglior album del 2023. Un disco di esplicito impegno politico come i tempi attuali esigono. Lui non si tira certo indietro e presenta la commovente Staffette in bicicletta dedicata alle staffette partigiane ricordando che la nostra è una Repubblica antifascista.
La piazza risponde con un boato e un applauso interminabile. L’atmosfera è quella giusta, si va avanti con la denuncia della violenza di genere (La cattiva educazione), della condizione carceraria (Minorità), dell’inerzia e dell’isolamento (Sul divano occidentale), del consumismo (All You Can Eat). Siamo a pochi chilometri da Casarsa, dove riposa Pier Paolo Pasolini e il cantautore lo ricorda così come ricorda Bertold Brecht a cui ruba il tema per la pacifista La crociata dei bambini. Ammette come proprio dallo sconcerto per una frase del poeta e drammaturgo tedesco usata dalla Presidente del Consiglio sia nata l’idea per La parte del torto, probabilmente il pezzo più esplicito nel denunciare questi tempi confusi e per nulla felici, l’inganno della destra al potere e la necessità di rimettere le cose, o almeno le parole, al loro posto. Chiude idealmente la triade dei letterati Ludovico Ariosto celebrato con l’intenso e pensoso Ariosto Governatore. Ma Capossela non sarebbe il grande artista che è, oggi tra i pochi veramente in grado di essere contemporaneamente un classico e un innovatore, senza le sue ballate notturne, i personaggi travolti dalla vita, l’amore per le culture subalterne ed eccentriche, l’ebbrezza della festa.

ECCO ARRIVARE allora Tornando a casa, omaggio ai tiratardi di ogni epoca, che lui introduce con il canto triestino da osteria Ancora un litro de bon, oppure lo scatenato e celeberrimo Che coss’è l’amor, racconto di sudori, umori e amori da pista da ballo.
Il finale è tutto per la dolcissima Con i tasti che ci abbiamo, che l’orchestrazione esalta in tutta la sua bellezza melodica. Ci vuole gratitudine per tutta la bellezza del mondo, per l’amore, per la vita e per le emozioni degli incontri. Però nostalgia no, perché come suggerisce Capossela, la nostalgia è di destra.