«Altri sguardi», un potente alfabeto visivo
Scaffale Una collana di preziosi volumi, a cura di Maura Picciau e realizzata dalla Direzione centrale musei del Mic, in cui la fotografia dialoga con la scrittura, raccontando luoghi poco battuti dal turismo mainstream. Dal Compendio garibaldino di Caprera alla Cappella Espiatoria di Monza fino al Mao di Venezia, con gli occhi di Barbieri, Camporesi, De Pietri, Capuano, Biasucci, Guidi, Linke e Ghizzoni
Scaffale Una collana di preziosi volumi, a cura di Maura Picciau e realizzata dalla Direzione centrale musei del Mic, in cui la fotografia dialoga con la scrittura, raccontando luoghi poco battuti dal turismo mainstream. Dal Compendio garibaldino di Caprera alla Cappella Espiatoria di Monza fino al Mao di Venezia, con gli occhi di Barbieri, Camporesi, De Pietri, Capuano, Biasucci, Guidi, Linke e Ghizzoni
Consegnare alcuni luoghi della cultura – magari meno noti e/o attualmente poco visitati – allo sguardo di fotografi ma anche alla parola di scrittori e poeti: questa l’idea alla base di Altri sguardi (collana editoriale a cura di Maura Picciau, Corraini, 25 euro a volume) realizzata e fortemente voluta dalla Direzione generale musei del Mic. In parti d’Italia a volte dimenticate e non quotidianamente usurate dal turismo mainstream.
OLIVO BARBIERI, Silvia Camporesi, Paola De Pietri e Luigi Capuano si sono visti proporre luoghi museali in zone lontane e diverse fra loro come il Compendio garibaldino a Caprera, la Cappella espiatoria di Monza, il parco archeologico di Venosa e il museo di san Marco a Firenze. Raccontandoli in completa autonomia artistica e semiotica, li hanno guardati coi loro occhi, avendo, come compagni di viaggio, Marcello Fois, Lisa Parola, Franco Arminio e Melania Mazzucco. Il dialogo che ne è conseguito, ulteriormente arricchito da utili saggi critici (Antonello Frongia, Marinella Paderni, Francesco Zanot, Alessandro Carrer), senza che fosse stato dato alcun confine delineato, è straordinario. Olivo Barbieri di viaggi a Venosa (Pz), ne ha fatti tre e la prima immagine che ci restituisce è quella di uno slargo con sedie vuote intorno alla statua di Orazio (che qui nacque): in attesa dei cittadini e di una assemblea comunale all’aperto in epoca Covid, la luce abbacinante di una piazza deserta.
VEDERE LE STRATIFICAZIONI dalle quali è scaturita la città vuol dire cogliere un antico bassorilievo funerario incastonato nell’azzurrino sgretolato di una parete accanto al tubo nero di una grondaia o allo sportello del gas oppure trovare quei segni di matrice romana ma anche longobarda ed ebraica sparsi un po’ ovunque sulle pietre che compongono la basilica detta l’Incompiuta: iscrizioni verticalizzate che perdono il loro senso, simboli misteriosi e licheni dorati che danno una fiammata di colore. Alfabeto incompiuto dei segni di Olivo Barbieri ma anche momento di riparo e di sollievo dalla «finzione globale che sta sciupando i luoghi»: la compostezza e la serietà delle pietre antiche nelle parole di Franco Arminio.
ALTRO LUOGO ALTRE PAROLE. Nuoro, fine anni ’60, un padre dice al figlio di sette anni che all’alba si partirà per visitare un luogo importantissimo, un’isola piccola vicina a un’isola media passando attraverso il «continente» della propria isola. Il bambino sa che la strada sarà lunga e tortuosa e farà caldo: Barbagia, Baronie, Gallura, la Maddalena e infine la meta, Caprera. Marcello Fois racconta di quando, da piccolo, il padre lo portava lì a visitare il rifugio di Garibaldi.
Ricorda il profumo di unguenti e salsedine, la resina dei grandi pini marittimi, il poncho famoso nella teca e il letto che Garibaldi volle, in punto di morte, rivolto verso il mare. Paola De Pietri risponde con immagini labirintiche di radici per terra, rocce giganti deformate dal vento quasi sempre in bianco e nero ma talvolta con esplosioni di colore ed epifanie di capre selvatiche che, arrampicate sui rovi, vivono serene in quello che per Garibaldi fu rifugio, lavoro della terra, apicultura e convivenza con animali (in un angolo la lapide della sua amata Marsala, la cavalla grigia che volle portare qui a morire): un esperimento di azienda agricola «autosufficiente» coeva – incredibilmente– (1856) agli esperimenti rurali di Thoreau sul lago Walden e alla sua vita nel bosco.
Silvia Camporesi entra in punta di piedi nel monumento a lei affidato, ed entra così perché avverte un senso di sospensione che è poi anche la sospensione di giudizio su luoghi come questo.
LA CAPPELLA ESPIATORIA a Monza, fatta erigere da Vittorio Emanuele III per commemorare il padre Umberto I ucciso nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci si fonda su un valore, quello della monarchia, che non è più tale da tempo. Ne Al re buono, così Camporesi chiama il suo progetto, compila un lungo elenco di scatti (corona, aquila, leone, un dettaglio della Pietà) per poi metterci anche un letto dorato appoggiato alla parete tappezzata di stoffa marezzata e una vasca di marmo dai grandi rubinetti di ottone: il suo mondo fatto di spazi abbandonati, che dal buio l’autrice riporta alla luce. Così come lei decostruisce la storia di quel luogo Lisa Parola (Giù i monumenti? Una questione aperta, Einaudi, 2022), narra della sua metamorfosi da icona figurativa eroica e autoesaltante a forma antieroica: Camporesi, infatti, nell’elenco include gli stivaletti fioriti dell’anarchico Bresci (operaio tessile) e la sua pistola.
INFINE, LUIGI CAPUANO che, al museo di san Marco, ritrae cambiamenti di luce sugli affreschi dell’Angelico, vecchie schede d’archivio o la cella con l’Annunciazione vista da quattro punti di vista diversi.
In uscita per la collana, ci sono altri quattro volumi: Antonio Biasiucci nei depositi del museo delle Civiltà di Roma, Armin Linke alla Certosa di san Martino, Guido Guidi al Museo nazionale di Ravenna e Simona Ghizzoni al Mao di Venezia.
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