Economia

Il nuovo piano Mittal: altri 4.700 esuberi. I sindacati: sciopero

Il nuovo piano Mittal: altri 4.700 esuberi. I sindacati: scioperoUna protesta dei lavoratori Arcelor Mittal sotto il Mise

Ex Ilva L’ad Morselli annuncia i tagli al Mise. Cgil, Cisl e Uil: inaccettabile. Patuanelli: sono deluso, entro lunedì arriverà la nostra proposta

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 5 dicembre 2019

Ora gli esuberi previsti da Arcelor Mittal sono scritti nero su bianco: 4.700 lavoratori. Dagli attuali 10.789 occupati ai 6.098 del 2023. A cui vanno aggiunti i circa 2 mila che entro quell’anno dovevano ricevere la proposta di assunzione.

Il nuovo piano industriale è stato illustrato dalla «tagliatrice di teste» Lucia Morselli ed è in alternativa al recesso dal contratto, come da ricorso presentato al tribunale di Milano. Due alternative che faranno comunque risparmiare agli indiani miliardi di euro.

Ora la palla torna al governo che «entro lunedì presenterà il suo piano su Taranto», come annunciato dal ministro Patuanelli alla fine del tavolo con azienda e sindacati.

Sindacati che hanno subito respinto il piano considerato «inaccettabile» perché è palesemente «un progetto di chiusura» annunciando uno sciopero per martedì 10 dicembre.

È chiaro che ora torna d’attualità lo scontro in tribunale: l’udienza sul contro ricorso dei commissari Ilva sul recesso Mittal è stata rimandata al 20 dicembre. Entro quel giorno bisognerà «aver chiaro se siamo in grado di andare avanti con una trattativa o no: se la posizione dell’azienda è rigida ovviamente non ci sono le condizioni per continuare», ha spiegato Patuanelli.

L’OTTIMISMO DEL GOVERNO si è dunque presto infranto con la volontà dell’azienda: «invece di fare passi avanti ne ha fatti alcuni indietro». L’illustrazione tramite slide del nuovo piano industriale da parte di Lucia Morselli è partita con una premessa che già faceva prevedere cattive notizie: «L’azienda ha avuto quest’anno uscite di cassa di un miliardo di euro», ha esordito la manager italiana chiamata a settembre a sostituire Matthieu Jehl con il chiaro mandato da parte della famiglia Mittal di lasciare l’Italia, in una strategia globale di riduzione dei costi.

LA CONTROPROVA È ARRIVATA subito dopo: gli obiettivi di produzione previsti sono stati drasticamente ridotti dagli 8 milioni di tonnellate a soli 6 nel 2021. Il tutto senza fare alcun riferimento al famigerato «scudo penale» che è stato usato come scusa per la fuga nei mesi precedenti.

La piccola svolta sul nuovo forno elettrico da inserire – una tecnologia che Arcelor Mittal non usa – è diventata anch’essa una scusa per allungare i tempi e prevedere più esuberi: via l’altoforno 2 che la magistratura chiede di mettere in sicurezza con altri 2891 «unità» in esubero già nel 2020 e altre 1.800 nel 2023.

Prima di incontrare i sindacati, si era tenuta un’altra riunione tra il consulente informale del governo Francesco Caio, Lucia Morselli, i rappresentanti del Mef e i commissari dell’Ilva per prevedere l’ingresso di una entità pubblica che accompagni Mittal. Gli esiti però sono evidentemente stati negativi e ora Caio dovrà mettere a punto da solo il piano preannunciato da Patuanelli: «Riteniamo che la produzione debba arrivare almeno a 8 milioni di tonnellate. Vogliamo far diventare lo stabilimento Ilva all’avanguardia nella produzione siderurgia europea. Su questo lo Stato, il governo, è disponibile a investire, ad essere presente, a partecipare e accompagnare l’azienda in questo percorso di transizione». È chiaro quindi che senza Mittal, il governo dovrà trovare un altro partner industriale, cosa difficilissima, se non impossibile, al momento.

Alla fine della presentazione di Morselli i sindacati hanno impiegato pochi minuti per rispondere unitariamente con la voce della segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan: «Non ci sono le condizioni per aprire confronto. Si deve ripartire dall’accordo di un anno fa, con i livelli occupazionali e investimenti indicati dal piano del 2018». Poi l’annuncio dello sciopero unitario in tutto il gruppo ex Ilva per martedì 10 «con la partecipazione dei lavoratori alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil già in programma sulle crisi industriali a piazza Santi Apostoli», precisa la segretaria generale Fiom Francesca Re David.

«NON È UN PIANO INDUSTRIALE: è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva», ha attaccato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. «Abbiamo un accordo firmato un anno fa, per noi la discussione è possibile se si parte da qui».

«Siamo entrati con un accordo approvato dal 93% dei lavoratori un anno fa e usciamo con un nuovo piano industriale che lo stravolge e lo cestina, senza spiegare le reali motivazioni alla base di questa decisione», denuncia il segretario generale Uilm Rocco Palombella. «È una catastrofe purtroppo annunciata, una disfatta nazionale, non solo tarantina, che se non affrontata subito segnerà il declino di tutto il Paese», commenta il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci.

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