Fermate il mondo, dobbiamo scendere. Ci sono accadimenti che fanno sobbalzare come quando qualcuno tira il freno di emergenza. Chi sonnecchia è costretto a svegliarsi di soprassalto, abbiamo un problema. Questa volta è stata una frana a bloccare lo sferragliare degli ingranaggi che trainano un modello di sviluppo fallito che va a sbattere contro la realtà. La sveglia è suonata quando la prefettura della Savoia e le ferrovie francesi hanno annunciato la chiusura del traffico ferroviario tra Italia e Francia – causa frana del 27 agosto nel territorio della Maurienne – fino al giugno del 2024. Dal Frejus non si passa, ci rivediamo in estate. Fine della corsa.

Il cosiddetto «mondo economico e produttivo» – di merci e di turisti di massa – a conti fatti ha espresso forte preoccupazione. I numeri dicono perché, e non deve essere complicato tradurli in euro e in «crescita» che va a farsi benedire: per i prossimi otto mesi resteranno fermi i Tgv francesi e i Frecciarossa diretti a Parigi e anche i 170 treni merci che ogni settimana utilizzano la tratta in questione. Al «disagio», che interesserà tutto il nord Italia, va sommata la chiusura totale del traforo del Monte Bianco fino al 18 dicembre, per improcrastinabili lavori di ristrutturazione.

Le autorità economiche interessante – le camere di commercio delle regioni del nord ovest – lanciano appelli che sembrano preghiere, «affinché si facciano tutti gli sforzi per accelerare il ripristino delle linee ferroviarie». Pochi però si stanno soffermando sull’aspetto più inquietante e impattante che si profila all’orizzonte già tossico: il blocco ferroviario nella zona che per ironia della sorte era quella dell’Alta velocità (ricordate il Tav?) causerà una gigantesca congestione da traffico su gomma proprio nella macro zona più inquinata d’Europa, la pianura Padana. Preoccupa qualcuno? Eppure alcuni parametri che riguardano la vita e la morte suggeriscono che sarebbe bene preoccuparsi anche di questi costi sociali che peseranno durante la prolungata paralisi ferroviaria transalpina.

Tra il 2016 e il 2020 (dati Oms) in Italia sono morte prematuramente almeno 246.133 persone a causa dell’inquinamento che in questa zona d’Italia è sempre ampiamente superiore ai livelli di guardia indicati dalle linee guida. Secondo un studio molto recente condotto in Germania, il 73% degli italiani vive nelle 58 città dove la concentrazione di polveri sottili supera i limiti fissati dall’Oms. Analizzando il periodo 2018-2022 (era pandemica quindi meno trafficata) i territori del nord Italia hanno registrato l’incremento di inquinanti più preoccupante di tutti gli altri 27 paesi membri dell’Unione.

Quanto al costo dell’inquinamento atmosferico in Europa, si parla di 166 miliardi di euro ogni anno (a Milano il costo pro capite di questa ecatombe è pari a 2.843 euro all’anno). E non stiamo parlando di merci o di pacchetti turistici. E la transizione ecologica? Con calma, non c’è fretta, allestiranno code di autobus sostitutivi per scarrozzare i vacanzieri verso le stazioni sciistiche.