Cultura

Alternative alle aule del capitale umano

Alternative alle aule del capitale umanoUn’illustrazione di Tetsuya Ishida

SAGGI «Una bussola per la scuola», una collettanea a cura di Angela Volpicella e Giorgio Crescenza, sulle trappole della valutazione

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 18 maggio 2017

Quiz invalsi validi alla maturità e per accedere all’università, una scuola basata sul modello teaching to test e sulle valutazioni biometriche delle «competenze», il disciplinamento al lavoro gratuito e volontario mascherato da tirocinio nell’alternanza scuola lavoro, l’ingiunzione a essere produttivi nei mansionari dell’imprenditore di se stesso imposti a studenti e docenti. Sono queste le linee dell’istruzione neoliberale realizzate nella riforma battezzata, per meri fini propagandistici, «Buona Scuola», ma presente già da un ventennio in tutti i cicli dell’istruzione e ricerca pubbliche.

Angela Volpicella e Giorgio Crescenza hanno curato un libro collettaneo (Una bussola per la scuola, Edizioni Conoscenza, pp. 239, euro 15) che può essere letto come l’alternativa alla scuola trasformata «in una fabbrica di capitale umano e in un’agenzia di socializzazione allo spirito competitivo che contrassegna il nuovo produttore» – come scrive Massimo Baldacci nell’introduzione.

La ricerca sviluppa l’idea di una formazione critica e «militante» finalizzata alla creazione di una «mentalità scientifica, laica e pluralistica» del docente, protagonista di un processo cooperativo che spinga la scuola a «sottrarsi alla violenza di tutti coloro che vorrebbero impadronirsene per i propri scopi».

IL CUORE DEL PROGETTO parte da una critica alla cosiddetta cultura della valutazione, pilastro del dispositivo che governa la didattica riformata in senso comportamentista e professionalizzante e la soggettivazione dello studente inteso come precario al lavoro.

In questo schema le conoscenze diventano «competenze» prive di una vera comprensione contestuale e limitate alla capacità di usare pacchetti di dati e informazioni senza averne consapevolezza e senza conoscerne l’uso al di là delle mansioni o funzioni assegnate dall’alto. I saggi di Giuseppe Bagni, Crescenza e Volpicella sono particolarmente utili per decostruire, storicamente e logicamente, questo dispositivo che non è «naturale», come fanno credere i commandos neoliberisti che governano il ministero dell’Istruzione, sostenuti da tutti i politici di destra e sinistra che si sono alternanti in Viale Trastevere dagli anni Novanta.

Il dispositivo è ispirato a un preciso «modello pedagogico» che rimanda, a sua volta, a quella che Michel Foucault ha definito «governamentalità neoliberale», quella che oggi ispira l’antropologia dell’«imprenditore di se stesso».

«La ricerca didattica si è impegnata nel definire le azioni oggettivamente osservabili e le ha assunte come indicatori di competenza – scrive Bagni – Operando in questa direzione ha trasformato le competenze in procedure standardizzate e stereotipate». Esistono diversi modi per «valutare» le capacità e le facoltà di un individuo. La didattica imposta dal dispositivo neoliberale «separa i luoghi e i tempi dell’assunzione dei dati dalla valutazione del loro significato», valorizza gli «strumenti delle verifiche» e riduce i soggetti a cui sono applicati a «oggetti» da valutare. I saperi, e i loro usi, sono ridotti a mansionari rigidamente quantificati, oggettivi e «intersoggettivamente confrontabili».

LA VALUTAZIONE è un’espropriazione delle facoltà del soggetto, oltre che della strutturale cooperazione che si esprime in classe e tra i docenti, a favore di «organismi di ricerca esterni» che ruotano intorno al sistema Invalsi.
Il dibattito pedagogico è più avanzato e sfumato rispetto a questo assetto istituzionale. «Il ruolo della valutazione – scrive per esempio Ivan Ivic – dovrebbe essere quello di funzionare da feedback per il processo educativo, l’impostazione tradizionale s’interessa invece dello stato finale senza preoccuparsi delle modalità con cui si può raggiungere». Più che al problem solving e al soluzionismo, la vita della scuola dovrebbe essere attenta al processo vivente dell’apprendimento, teorico e pratico. Un processo «lento e faticoso», affidato ai soggetti e ai loro conflitti, ben più significativo del mito dell’oggettività e della metafisica basata sulla «misurazione» del lavoro vivo e della sua riduzione al «capitale umano», i criteri dello schema burocratico e imprenditoriale attuale.

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