Cultura

Almanacco della semplicità per apparenti quisquilie

Almanacco della semplicità per apparenti quisquilieJulian Charrière, «We Ever Wanted Was Everything and Everywhere», Mambo, Bologna

Scaffale «La Terra e il suo satellite» di Matteo Terzaghi, per Quodlibet. Ogni prosa breve agisce come uno spillo che incida una superficie minuscola

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 27 gennaio 2020

Tra gli scrittori in lingua italiana, qualcuno ama le cose semplici. Non fanno propriamente una corrente, anche perché interpretano con diversi stili il tema della semplicità. E nelle stime si possono dire rari o assai rari. Il libro di Matteo Terzaghi, La Terra e il suo satellite (Quodlibet, pp. 112, euro 14), può essere annoverato tra i testi di questo genere. È composto infatti da trentaquattro prose brevi e brevissime, tra il narrativo e il saggistico, ciascuna delle quali agisce come uno spillo che incida una superficie minuscola. Osservazioni minute, ricordi puntuali, riflessioni circostanziate su oggetti, eventi, situazioni, persone, luoghi, sempre valorizzati nell’accezione del simplex.

CHI AMA LA SEMPLICITÀ non va confuso col tipo del semplificatore, che si muove dentro uno schema già significativo e in questo trita il messaggio. Non fece la parte del semplificatore Goffredo Parise, scrivendo occasioni liriche in prosa, come definì la silloge di brevi racconti raccolti in Sillabario I e II (1971 e 1982); dove gli piacque scoprire la dimensione ingenua e automatica delle emozioni, dei pensieri, dei gesti, delle azioni, delle vite, senza la paura di arenarsi in cose banali, senza l’ansia di dare un significato alle storie. Prose che addirittura riescono a destare la sorpresa di essere così sguarnite di sorprese. Qui tutto è ridotto a cosa semplice: tematiche, oggetti, luoghi, personaggi, vicende, parole, finali. Né scarno né arido, Parise riesce a muoversi sulla superficie, attento, premuroso, amorevole nel restituire apparenti quisquilie.

Il punto è restituire la semplicità senza cascarci dentro: un equilibrio davvero difficile. A metà degli anni ’90 ci hanno provato, con estrosità, anche quelli dell’«Almanacco di prose. Il Semplice». Benati, Borsari, Cavazzoni, Celati, Schneider e Tavon tra i primi agitatori. Con quel nome ambiguo, Il Semplice, che non sapevi se si riferisse alla pianta medicamentosa o allo sciocco, al semplicione, schietto, genuino, ingenuo, da sempre oggetto di tanta comicità. Ne scaturiva una multiforme estetica della semplicità: stile antiepico, temi comuni e una piega comica.

CHE POI, L’ETIMO della parola «semplice» (simplex, composto da sim, uno solo, e plectere, piegare; quindi piegato una sola volta) già viene in aiuto ad indicare qualcosa che è sì subito disponibile ad essere compreso ma da aprire tuttavia, e da porre in relazione con qualcos’altro. Così come il principio di un’erba medicinale va reso funzionale. Una semplicità con valore relazionale è, ancora, quella che coglie un recente progetto ideato da Ugo Coppari, scrittore e insegnante di italiano agli stranieri.

IL GIORNALINO «Pensierini.blog», pubblicato in rete e in cartaceo, raccoglie la semplicità espressiva e lessicale di chi è alle prime armi con un congegno così complicato com’è una lingua. Attraverso questa piattaforma nascono un confronto e una co-autorialità che hanno sì un immediato impiego didattico ma anche documentano uno stato di relazioni premature e potenziali.

SE SI PONE QUESTA PICCOLA rassegna della semplicità dietro il libro di Terzaghi, emergono subito alcune varianti originali. Prima di tutto, le sue prose esprimono l’intenzione di raccogliere cose che, per la loro natura singolare, andrebbero a disperdersi. Questa cura è poi accompagnata da una certa acribia descrittiva. La pratica e l’intelligenza della descrizione sono un tema caro all’autore, che già in un saggio (I meriti del linguaggio, edizioni Casagrande, 2006) aveva posto alla base di un’indagine sui processi che legano la scrittura alla conoscenza e che successivamente aveva messo in campo con una raccolta di brevissimi saggi di descrizione di immagini (Ufficio proiezioni luminose, Quodlibet, 2013). In La terra e il suo satellite, che certo allude alla facile e insidiosa disarticolazione tra l’occhio e l’indice nel puntare il suo oggetto, questa semplicità descrittiva si attiva nelle occasioni più varie, sparse nel tempo: ora cerca di ricomporre una tazza andata in frantumi, ora di focalizzare un momento peculiare della vita, come potrebbero essere la malattia o le ore domenicali, ora di capire il particolare di una foto o della scena di un film.

POSSONO ESSERE alcune righe lette in un libro o qualche segno graffiato su un quaderno a sollecitare osservazione e scrittura, oppure la neve o la pioggia che cadono in un giorno specifico. Spesso è un ricordo di infanzia a balenare, come sovente c’è la scuola presente e passata, dato che è proprio la tensione narrativa del tema in classe ciò che il libro cerca di riprodurre. In ogni descrizione c’è, infine, un’opzione autobiografica: un po’ perché si precisa l’occasione da fermare e puntualizzare, un po’ perché ogni rigorosa osservazione per essere descritta e analizzata deve includere il soggetto che fa l’esperienza.

Un aneddoto lì raccolto, svela l’equivoco in cui queste brevi prose potrebbero far cadere. Una professore a proposito dei temi in classe un giorno lo ammonì: «Terzaghi, non le ho chiesto di scrivere un aforisma, ma un normalissimo componimento. Non si tratta di condensare tutto il pensiero in un punto privo di estensione; il segreto è la divagazione». Sembra che queste parole siano state solo parzialmente ascoltate, forse perché il vero segreto si ritrova intatto e non svelato in questa volontaria semplicità.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento