Cultura

All’origine dello scontro tra due concezioni del potere, imperiale e comunale

All’origine dello scontro tra due concezioni del potere, imperiale e comunaleParticolare dal ritratto di "Federico II con il falco" dal suo trattato "De arte venandi cum avibus"

Scaffale «Federico II. La guerra, le città e l’impero», di Paolo Grillo, edito da Mondadori.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 agosto 2023

Il 25 giugno 1183, dopo quasi tre decenni di lotte, Federico I Barbarossa a Costanza, nel suo ducato di Svevia, ratificò la pace con i comuni italiani, alla presenza dei delegati delle singole città e dei rappresentanti del pontefice. Quell’evento testimoniava una sostanziale vittoria dei comuni: vi si ribadiva beninteso che i regalia costituivano un diritto intangibile dell’impero, ma si accettava che tale diritto potesse trovare un limite nell’esercizio delle consuetudines cittadine, a loro volta fonte di diritto. Inoltre, a fronte di un formale riconoscimento dell’autorità imperiale, le città si vedevano garantito il diritto di avere fortificazioni e di mantenersi strette in lega. In seguito, la questione fra imperatori e comuni rimase in sospeso per molti anni: il Barbarossa morì durante la crociata, nel 1190, e fino all’avvento sul trono di suo nipote Federico II i governi comunali poterono spingersi ben oltre gli accordi di Costanza.

NON CI SONO PROVE concrete che indicano un preciso piano di Federico II nell’assetto del Regno nel periodo compreso tra il 1220, data dell’incoronazione a Roma, e il 1225. Tuttavia, a partire dal luglio di quell’anno, sembra emergere un maggiore interesse del sovrano nei confronti del Regno italico, come parte di un progetto più ampio per la penisola. Le discussioni riguardanti il progetto federiciano sono ancora aperte e diverse possibilità sono state prese in considerazione. Voleva abolire completamente i privilegi usurpati post 1183? O voleva spingersi anche oltre?

Certo è che dopo il 1225 cominciò una nuova fase dello scontro, che si sarebbe protratta fino alla scomparsa dell’imperatore, nel 1250. A questi anni Paolo Grillo dedica Federico II. La guerra, le città e l’impero (Mondadori, pp. 336 pp., 24 euro). Biografie del grande imperatore ce ne sono parecchie, tuttavia, la ragione per questo nuovo volume è l’assenza di attenzione nella tradizione storiografica federiciana proprio verso i dettagli della sua politica italiana. Grillo prende in considerazione soprattutto gli anni dal 1236 al 1250, densi di trionfi e sconfitte da entrambe le parti, ma che per Federico II significarono dover drenare le risorse del suo regno italo-meridionale, che finì per fare le spese della sua politica. All’origine lo scontro fra concezioni del potere troppo diverse: quella imperiale e quella dei comuni, con l’incapacità dello svevo di leggere gli scenari italiani del tempo.

IL LIBRO RESTITUISCE la complessità della figura di Federico II, da una parte legato a una concezione universalistica e sacrale dell’Impero ormai al tramonto, e allo stesso tempo aperto in modo singolare alla cultura, alla scienza e all’arte. Aperto però anche all’ideologizzazione del conflitto grazie alla costruzione della propaganda anti-comunale messa in piedi dalla sua cancelleria, con la quale i nemici politici divenivano eretici. Peraltro, il papato, durante la fase dell’alleanza con i comuni, adotterà lo stesso atteggiamento nei confronti dell’imperatore. Il libro riempie dunque un vuoto grazie a una conoscenza approfondita delle fonti, che tuttavia riesce a mettere da parte l’erudizione per adottare uno stile narrativo avvolgente.

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