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All’italiana Trevi i lavori per la diga di Mosul

All’italiana Trevi i lavori per la diga di MosulLa diga di Mosul – Reuters

Iraq Ufficializzato il contratto per rimettere in sesto l'impianto: 273 milioni di euro per 18 mesi. 500 soldati italiani a difesa dell'affare. Unità speciali Usa combattono sul campo

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 3 marzo 2016

C’è la firma: ieri il governo iracheno ha ufficializzato l’accordo con la ditta italiana Trevi per la riparazione e il mantenimento della diga di Mosul, la più grande del paese, un impianto che rifornisce d’acqua buona parte del territorio del paese.

L’appalto è andato così alla compagnia che – in attesa del contratto definitivo – a dicembre aveva già ottenuto il sostegno del governo italiano: Roma ha ordinato alla fine dello scorso anno il dispiegamento delle proprie truppe nella zona a protezione dei lavori e dell’ingente business. Un affare da 273 milioni di euro per 18 mesi di lavori, che val bene l’invio di 500 dei nostri soldati, in aggiunta ai 750 uomini di stanza a Erbil per l’addestramento dei peshmerga kurdi.

La diga sul fiume Tigri, dicono iracheni e statunitensi, è ad enorme rischio a causa degli scontri con lo Stato Islamico che nell’ultimo anno e mezzo ha più volte compiuto attacchi contro l’impianto, occupandolo per brevi periodi. Se dovesse collassare, provocherebbe inondazioni capaci di arrivare a Baghdad e disastri nelle città lungo il fiume, tra Mosul e la capitale, come Samarra, Baiji, Tikrit. Oltre un milione e mezzo i civili che resterebbero coinvolti. La preoccupazione per l’esplosione di quella che viene definita «una bomba d’acqua» è tale che il premier al-Abadi domenica ha chiesto alla popolazione che vive entro quattro chilometri dalla diga di evacuare.

Mosul resta al centro delle attenzioni militari dei tanti attori della cosiddetta lotta al terrorismo islamico. Tra i più attivi c’è la Turchia che a soli 20 km dalla città ha mandato 2mila soldati, con il sostegno dell’alleato Barzani, presidente del Kurdistan iracheno. Ma è nel mirino anche dell’Occidente: lunedì il governo di Baghdad ha sottoposto all’esercito statunitense i piani per la controffensiva sulla città roccaforte dello Stato Islamico.

Il generale Usa Dunford, capo dello staff in Iraq, in conferenza stampa ha riportato dell’intenzione di Washington di svolgere un ruolo nella futura operazione maggiore di quello ricoperto a Ramadi, dove ci si limitò ai raid aerei.

I primi segnali sono arrivati ieri: 200 uomini delle forze speciali Usa hanno compiuto un’azione via terra e arrestato uno dei leader dell’Isis in Iraq. Ora è sotto interrogatorio, poi sarà consegnato a Baghdad. Secondo il segretario alla Difesa, Ashton Carter, si tratta di un leader di medio livello la cui cattura – aggiunge – apre la strada a future operazioni dello stesso stile: forze speciali (arrivate in Iraq a gennaio) che, in coordinamento con l’esercito governativo, compia raid mirati per l’arresto di figure di spicco della rete islamista e la confisca di materiale sensibile.

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