Alle Zattere guidati da don Helenio
Cartelli di strada Coi tepori primaverili di marzo le Zattere si riempivano di studenti della vicina Accademia; ma anche di Ca’ Foscari, di Ca’ Tron. Per noi, che frastornati dalla scelta dei tramezzini […]
Cartelli di strada Coi tepori primaverili di marzo le Zattere si riempivano di studenti della vicina Accademia; ma anche di Ca’ Foscari, di Ca’ Tron. Per noi, che frastornati dalla scelta dei tramezzini […]
Coi tepori primaverili di marzo le Zattere si riempivano di studenti della vicina Accademia; ma anche di Ca’ Foscari, di Ca’ Tron. Per noi, che frastornati dalla scelta dei tramezzini farciti di salse fredde le sentivamo pronunciare nella pausa di mezzodì al bar, le Zattere significavano piattaforme mobili, tronchi affastellati che galleggiano. A dire il vero intuivamo che rimandassero ad altro, ma temendo di passare per provinciali ci si asteneva dal cercare chiarimenti sull’accezione che avevano a Venezia. Liberatici dalle lezioni, di primo pomeriggio, ci addentrammo nel dedalo di calli intenzionati a prendere il sole anche noi sulle Zattere… o meglio, alle Zattere: parecchio lontane – nel sestiere di Dorsoduro – dalla zona del palazzo patrizio con balconata sul Canal Grande (dirimpettaio al Casinò d’inverno) nel quale ci aggiravamo per studio e per piacere. Nei pressi di campo San Tomà l’incontro che non ti aspetti. Un signore con sciarpa e cappotto, sebbene il pomeriggio assolato, veniva a passo sicuro verso di noi. La figura, riconosciuta all’istante per notorietà, era quella di «don Helenio» (tale appellativo riferito a Helenio Herrera, campeggiante a tutta pagina, era stato usato in passato da un giornale sportivo dopo una netta vittoria nel derby), l’allenatore dell’Inter-anni ’60. Il Mago a Venezia?, ci chiedemmo. Gli sguardi s’incrociarono e non sapendo dire altro articolammo un «salve mister». Lui contraccambiò col formale «buongiorno», ingentilito da un sorriso. Incoraggiati, incalzammo: «Per le Zattere?». C’invitò a seguirlo per qualche decina di metri e prima che voltasse in una calletta, oltrepassato un ponte, c’indicò la direzione da prendere. A conclusione di una vita spesa nell’ambiente calcistico, Herrera, apprendemmo da un negoziante, aveva prescelto la città Serenissima, non ancora falsata dalle orde di turisti, come buen retiro in cui trascorrere il resto dell’esistenza. Le Zattere, appena vi giungemmo, corrispondevano alle fondamenta di Dorsoduro bagnate dal Canale della Giudecca. Si allungano con linearità per circa mezzo chilometro e i loro basamenti sono punteggiati da tavolini e ombrelloni dei vari ritrovi che si susseguono. Stando lì seduti, si viene abbacinati dal sole pomeridiano posizionato di fronte, nel cielo dell’isola della Giudecca il cui skyline è sovrastato, nello sfondo, dalla mole rossiccia dell’ex Mulino Stucky. Sul canale ci distoglieva di tanto in tanto, dallo sfogliare dei giornali di quegli anni ’80, il passaggio delle navi mercantili di Porto Marghera che costeggiando le fondamenta toglievano brevemente il sole. Vi tornammo altre volte: andando alle Zattere c’eravamo già imbattuti con Herrera, un personaggio. Chi ci sarebbe toccato d’incontrare ancora?
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