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Alle radici del pregiudizio

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Berlinale «Aferim!» di Radu Jude ambientato nella Romania del diciannovesimo secolo. Il regista indaga su mentalità e cliché delle persone, in una realtà sociale intrisa di razzismo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Romania, diciannovesimo secolo: Costandin (Teodor Corban) è una sorta di povero poliziotto dell’epoca, incaricato da un signore locale di ritrovare uno schiavo zingaro di sua proprietà accusato di aver rubato dei soldi. Con lui c’è l’ingenuo Ionita, il figlio (Mihai Comanoiu), a cui Costandin impartisce continuamente massime sulla vita e su come essere un vero uomo. Il loro viaggio alla ricerca del fuggitivo Carfin (Cuzin Toma) è al cuore di Aferim! di Radu Jude, tra i favoriti del concorso berlinese.

«Il titolo è una parola turca che vuol dire bravo, ben fatto – spiega il regista – che era molto popolare in Romania nel diciannovesimo secolo, quando l’influenza turca era più forte, e che ora non si usa più. È un modo di riportare immediatamente lo spettatore, soprattutto quello rumeno, al passato». La sceneggiatura è infatti basata su documenti legali dell’epoca e su battute attinte dalla letteratura e la poesia del diciannovesimo secolo – «un patchwork di fonti diverse», commenta il regista. Ma i veri protagonisti del film sono il razzismo, il pregiudizio, il potere. Quasi tutti i dialoghi vertono sulla natura infida degli zingari, o l’assenza di anima degli ebrei e la necessità di mettere a posto le mogli con qualche frustata, in una commedia nera e amara che non riguarda solo il passato e la Romania.

«La cosa principale che mi ha spinto a fare questo film – osserva infatti Jude – è l’idea della relazione di passato e presente, e di come i problemi del passato siano ancora attuali, anche se in forma diversa. E non solo in Romania: credo sia un film universale sulla mentalità delle persone e la sua storia; sui cliché, le idee che si ereditano da una persona all’altra e rinforzano una realtà sociale che supporta il razzismo». A rendere questa vicenda ancora più universale interviene lo stile, che mette a distanza storia e spettatore evocando i percorsi e le immagini del western degli anni quaranta: «con il direttore della fotografia pensavamo soprattutto a John Ford ed Howard Hawks», spiega il regista.
«Abbiamo inserito tutti questi riferimenti perché volevo che lo spettatore avesse sempre l’idea di stare guardando un film, una ricostruzione soggettiva della realtà realizzata con gli strumenti del cinema. È lo stesso motivo per cui ho scelto il bianco e nero, che è un altro modo di ricordare a chi guarda che quella sullo schermo non è una registrazione della realtà».

Quando Costandin e Ionita troveranno il fuggitivo, scopriranno anche che non ha mai rubato nulla: la sua colpa è di essere stato sedotto dalla moglie del padrone, e di aver ceduto alle sue lusinghe.
Carfin li implora di non portarlo indietro, perché lo attende morte certa, ma Costandin lo «rincuora» assicurandogli che gli toccherà solo qualche frustata. In lui e soprattutto in suo figlio la compassione per il prigioniero comincia però a fare breccia, ma non abbastanza perché un povero uomo di legge possa andare contro l’ordine costituito. La vaga empatia umana che nasce in loro è parallela a quella che a questo punto prova lo spettatore per loro stessi, supportata anche da un altro importante riferimento ed omaggio che Radu Jude inserisce in Aferim!: quello al grande Don Chisciotte della Mancia e le sue peregrinazioni a cavallo del macilento Ronzinante, accompagnato dal fedele Sancho Panza, cui con il medesimo paternalismo di Costandin impartisce lezioni sulla cavalleria. «Il riferimento a Don Chisciotte era ancora più presente del western nella sceneggiatura – conferma Jude – avrei voluto perfino che il cavallo del protagonista fosse esattamente come nel romanzo, ma era impossibile trovare dei cavalli così magri e malmessi!».

E tuttavia Costandin è timoroso di contravvenire ad un ordine, di mettere in discussione la sua vita ed il poco che ha per un «corvo», come appella costantemente gli zingari, e mentre conduce Carfin al suo destino si rifugia nel suo passato di glorie soldatesche e nel futuro che si auspica ancor più glorioso per il figlio, decidendo di ignorare che è il presente a fare la differenza. «Questo è un tema molto presente in Cechov, che è l’autore che amo di più – spiega il regista – per cui alle volte vedo il mondo attraverso i suoi occhi, o almeno mi sento molto vicino al suo modo di vederlo». «Il futuro sará migliore Ionita!», promette Costandin al figlio. E forse sa di stare vedendo dei mulini a vento.

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