All’Asinara, tra fantasmi lunari ed elicriso
Fotografia L’isola sarda negli scatti di Marco Delogu e con prefazione di Edoardo Albinati per Punctum edizioni
Fotografia L’isola sarda negli scatti di Marco Delogu e con prefazione di Edoardo Albinati per Punctum edizioni
Appena metti piede sull’isola dell’Asinara vieni preso dalla sensazione di essere entrato in un campo di forze fra loro in tensione. Come un cerchio dentro il quale sei sospinto, lievemente ma irresistibilmente, in un vortice che ti separa da ogni storia e da ogni geografia. Resti solo di fronte a una meraviglia di cui non riesci a definire, nell’immediato, i termini, i contorni e tantomeno le origini.
SULL’ASINARA, oggi di fatto disabitata, il vento della storia è passato violento. E ha lasciato, su diciotto chilometri di terra bassa e pietrosa sospesa tra il mare di Corsica e le Bocche di Bonifacio, ruderi muti. Ci sono le domus de janas (le case delle fate) dei primi insediamenti neolitici; ci sono i cantieri di scavo che hanno portato alla luce le testimonianze della presenza di Roma; ci sono pochi muri cadenti del castello dei Malaspina, signori genovesi all’epoca in cui la repubblica ligure contendeva a Pisa il dominio dei traffici per mare.
E poi i tempi più vicini: il lazzaretto e il carcere diffuso fatti costruire da De Pretis, che nel 1885 cacciò tutti i trecento abitanti (allevatori e pescatori) per trasformare l’isola in un presidio sanitario e in una colonia penale; l’ossario in cui sono custoditi i resti dei 24 mila soldati austroungarici deportati, durante la prima guerra mondiale, in questo lembo di terra degradato a un lager (non se salvò uno, morti tutti di stenti e di colera); la galera di Fornelli ristrutturata negli anni Settanta per rinchiuderci brigatisti rossi e boss della mafia; la palazzina dove Falcone e Borsellino si ritirarono per settimane a scrivere la sentenza del maxiprocesso contro Cosa Nostra. Il tutto circondato da una natura di una bellezza irreale, come un’allucinazione.
DA UNA PARTE, sottofondo sordo e angosciante, il male e il dolore della storia, i detriti sparsi ovunque di orrori e delitti, dall’altra lo splendore del mare, il giallo abbacinante dell’elicriso, la luce del sole che acceca riflessa dalle pietraie. Ecco le forze che muovono il campo dentro il quale ci si trova presi e persi sull’Asinara.
Dentro questa tensione lavora lo sguardo di Marco Delogu nelle foto raccolte in un libro, Asinara, pubblicato da Punctum Press (pp. 72, euro 50) e dedicato al mistero di un luogo estremo. Dal 2005 direttore dell’Istituto italiano di cultura di Londra e dai primi anni Novanta figura rilevante nel panorama della fotografia in Italia, Delogu cerca una via per muoversi nel vortice di forze che Edoardo Albinati acutamente individua nella prefazione al volume: «La bellezza e il male – scrive – sono i poli assoluti e intransitivi dell’isola».
Di fronte all’energia possente che queste forze sprigionano nel piccolo lembo di terra circondato dal mare, Delogu chiede aiuto alla luce della luna.
TUTTE LE FOTO sono scattate ad agosto sotto il plenilunio, di notte; solo qualche volta all’alba. In più Delogu sfoca leggermente le immagini. L’effetto di questo doppio passo è che i ruderi della storia e le spiagge, i depositi di scheletri di poveri fanti e gli asinelli bianchi, il portone sbarrato del carcere di Fornelli e il faro alto su Punta Scorno, sono accomunati da una visione in cui niente si risolve e tutto si distanzia. Ogni cosa assume, nelle foto di Delogu, le forme indistinte di un fantasma. Un fantasma che non spaventa, ma neppure consola. Un fantasma lunare che sembra ricordare che è per il sogno più che per la veglia, per il buio più che per la luce, che si può spingere lo sguardo – oltre la storia e oltre la natura – verso il limite inattingibile («sub limine», sublime) della verità.
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