Cultura

All’ascolto delle fonti, resti di vite ordinarie

All’ascolto delle fonti, resti di vite ordinarie

Saggi «Storie che non fanno la Storia» di Carlo Greppi pubblicato da Laterza

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 12 ottobre 2024

Come si imbastisce una narrazione storica? Quale metodologia viene impiegata per arrivare a portarla a compimento? E quali sono i principali ostacoli che il ricercatore è chiamato a superare? Sono alcuni dei quesiti ai quali cerca di rispondere Carlo Greppi in questo suo libro, appassionato e appassionante, dal titolo Storie che non fanno la Storia (Laterza, pp. 117, euro 14).

AUTORE DI VARI SAGGI sulle vicende storiche del Novecento, tra i quali mi piace ricordare sia Il buon tedesco (2021) sia Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo (2023), lo studioso guida il lettore illustrandogli le tante scelte che vengono compiute nel corso dell’elaborazione di un’indagine volta per esempio a ricostruire i tratti di un’esistenza, a individuare le cause alla base di uno o più avvenimenti, a delineare le fasi e gli sviluppi di un certo processo. Greppi gli parla del punto di vista, del tono, del montaggio, del confronto – talvolta aspro – con le fonti e la letteratura già data alle stampe sull’argomento fino a giungere a esporgli i risultati della propria ricerca.
Da queste pagine emerge dunque, in primo luogo, tanto una puntuale descrizione del mestiere dello storico quanto il racconto che ci viene fornito da colui che ha portato a termine il lavoro di indagine. Certo, esiste una ragguardevole differenza tra la disciplina fondata sui documenti d’archivio, sui dati, sulle relazioni diplomatiche, sui trattati, sulla memorialistica, sulle testimonianze orali e la narrazione relativa alla storia di una singola famiglia: quella raccontata dagli anziani che, probabilmente, si è trovato ad ascoltare ognuno di noi. È però interessante notare, al riguardo, come tali vicende siano andate intrecciandosi e siano state attraversate dalla Storia, quella con l’iniziale maiuscola, simboleggiata da coloro ai quali sono dedicati libri e convegni, viali e monumenti. L’altra, come è noto, è destinata a rimanere solo nel ricordo di quanti ne hanno appreso il contenuto.
Le due diverse prospettive, tuttavia, non dovrebbero essere contrapposte: le vite minute, ma comunque uniche pur nella loro ordinarietà, sono in grado di aprire squarci inediti sul nostro passato, di esporre agli individui di oggi le vicende di coloro che non sono più tra noi. Scrive in proposito Greppi come, tra mugnai e zoccolai, muratori taciturni e disertori datisi alla macchia, «ricostruire la storia di persone straordinariamente ordinarie è un’avventura umana, da un lato, ed è al contempo un percorso a ostacoli che vale la pena narrare».

È QUANTO HA FATTO compiutamente l’autore di questo libro, grazie anche alla prosa scorrevole e incisiva che avevo già avuto modo di apprezzare. Riguardo infine all’osmosi appena menzionata e ipotizzata, una volta realizzata sarebbe possibile «umanizzare» la storia studiando in orizzontale – non dall’alto, come se si trattasse di comparse quasi invisibili presenti sul palcoscenico della «grande Storia» – gli esseri umani che osserviamo e dei quali raccontiamo sia l’esistenza che l’operato. Senza indulgere alla retorica né incappare in inaccettabili falsificazioni, con la consapevolezza della propria fallibilità ma procedendo con il rigore, lo scrupolo e l’onestà intellettuale che dovrebbero caratterizzare ogni indagine storiografica.
Dal momento che Gaetano Salvemini, opportunamente citato da Greppi, scriveva già nel lontano 1932: «L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere».

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