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Allarme sul Pnrr: ministeri in ritardo

Allarme sul Pnrr: ministeri in ritardoIl sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli

Governo Riunione di emergenza a palazzo Chigi. A rischio il rispetto degli obiettivi del Piano nazionale di resilienza e resistenza e di conseguenza il trasferimento dei fondi europei. Chiesto «uno sforzo straordinario» alle amministrazioni nei prossimi due mesi. Quelli del passaggio di consegne

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 agosto 2022

Anticipare tutto quello che si può anticipare. Un vero e proprio «gabinetto di guerra» quello che si è riunito ieri a palazzo Chigi sotto la guida del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli per fare il punto sull’attuazione del Piano nazionale di resilienza e resistenza. Presenti i capi di gabinetto di tutti i ministeri: il governo teme che la campagna elettorale e soprattutto il lungo passaggio di consegne con il nuovo esecutivo possano provocare ritardi devastanti: gli aiuti europei, come si sa, si interromperebbero in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi nei tempi previsti.

Al termine della riunione, palazzo Chigi ha fatto sapere di aver chiesto a tutti i ministeri «uno sforzo eccezionale per i prossimi due mesi, soprattutto a quelle amministrazioni che hanno lo stock di provvedimenti più pesante da esaurire». Il governo non si nasconde quanto sia difficile «pensare di arrivare all’azzeramento dello stock», salvo rari casi, «ma è importante cercare di ridurre al minimo sia l’arretrato sia soprattutto i provvedimenti del governo in carica, all’attuazione dei quali si chiede di dare una specifica priorità nei prossimi due mesi».

Settembre e ottobre, dunque, sono i mesi in cui si chiede il massimo sforzo e saranno proprio i due mesi in cui resteranno in carica (per gli affari correnti) i ministri del governo Draghi, prima di lasciare le consegne a quelli del nuovo governo. Per ogni ministero, informa la nota di palazzo Chigi, «sono stati elaborati target quantitativi specifici». A settembre sono attesi 121 provvedimenti, uno in più nel mese successivo.
Secondo la valutazione di Openpolis in molti capitoli di intervento si registra un ritardo dal punto di vista degli adeguamenti legislativi (nuove leggi quadro e riforme). Solo nei capitoli “Infrastrutture” e “Digitalizzazione” sono già stati raggiunti gli obiettivi assegnati per il terzo trimestre 2022. Ritardi apparentemente recuperabili si registrano per quanto riguarda “Fisco e revisione della spesa”, ritardi pesanti per quanto riguarda le riforme nei capitoli “Salute”, “Transizione ecologica” e “pubblica amministrazione”, ritardi pesantissimi nei capitoli “Scuola e Università”, “Giustizia”, “Impresa e lavoro” e “Inclusione sociale”. Situazione non molto diversa se dal tema delle riforme legislative si passa a quello degli investimenti. Anche qui sarebbe necessario un cambio di passo repentino per avvicinare i target di fine settembre. Soprattutto nei capitoli “Cultura e turismo”, “Impresa e lavoro”, “Transizione ecologica”, “Scuole e Università” e d nuovo “Giustizia”.

Proprio il ministero guidato da Marta Cartabia si trova in maggiori difficoltà. Mentre questa estate si sono rincorse le notizie di tribunali costretti a interrompere ogni attività e a programmare ferie più lunghe per mancanza di personale, le prime ombre si addensano sulla funzionalità del nuovo ufficio del processo. Per il quale è stata prevista l’assunzione di ben 16mila laureati, ma a termine (tre anni) con scarse probabilità di stabilizzazione. Molto difficile da aggredire anche il problema della mancanza di magistrati del quale il nostro paese soffre strutturalmente; per quanto il ministero abbia dato un’accelerazione nel bandire i concorsi il numero dei candidati in grado di superare le prove è sempre al di sotto dei posti messi a bando. La grande scommessa in materia di giustizia è quella di portare a compimento entro fine anno le riforme del processo penale e civile. Che, secondo i piani di Cartabia, in cinque anni dovrebbero ridurre i tempi di durata dei procedimenti del 40% (nel civile) e 25% (nel penale). Il problema è che le commissioni parlamentari devono esprimere il parere obbligatorio sullo schema di decreto legislativo – che dà corpo alla riforma del penale – proprio a settembre, in piena campagna elettorale. Quando la giustizia torna a essere un tema che divide.

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