“Allarme contratti a termine”
Intervista a Sergio Cofferati Il Jobs Act mette a rischio il rapporto a tempo indeterminato. Lo scontro Cgil-Fiom: sugli accordi dovrebbero votare solo i lavoratori interessati, e dopo aver sentito entrambe le campane
Intervista a Sergio Cofferati Il Jobs Act mette a rischio il rapporto a tempo indeterminato. Lo scontro Cgil-Fiom: sugli accordi dovrebbero votare solo i lavoratori interessati, e dopo aver sentito entrambe le campane
«Sul calo delle tasse mi pare che siano poco chiare non solo le coperture, ma anche la platea dei beneficiari: si escludono i pensionati?». Allarme rosso, poi, per i contratti a termine: «Se si toglie la causale, diventeranno praticamente l’unico rapporto a cui si farà ricorso, sostituendo di fatto il tempo indeterminato». Sergio Cofferati, europarlamentare Pd e storico segretario della Cgil, vede più ombre che luci nella «svolta buona» renziana, anche se ammette che «abbassare le tasse alle fasce più deboli e aumentare quelle sulle rendite finanziarie va nella direzione giusta». Ma ci parla anche dello scontro Cgil-Fiom: «È fondamentale – dice – che un contratto venga votato solo dai lavoratori interessati. E alle assemblee si dovrebbero esprimere tutte le posizioni».
Iniziamo dagli sgravi Irpef.
Se si danno soldi alle persone che stanno peggio, io sono più che contento. Ma la comunicazione è stata poco chiara: se mi si dice che cala l’Irpef, dovrei desumere che scende per tutti quelli che stanno sotto un reddito di 1500 euro, quindi anche i pensionati. Invece mi pare che si continui a parlare di lavoratori e di buste paga: si dovrebbe diradare questa confusione, e se non sono previsti i pensionati, mi pare più che giusto includerli.
Le coperture sono credibili?
Credo che la spending review sia fatta di azioni che non danno sempre introiti certi e soprattutto non li danno tutti a breve. Siccome gli sconti Irpef sono soldi che si erogano già da maggio, credo si debbano indicare coperture più certe.
Le critiche di Squinzi sulla disputa Irpef-Irap erano condivisibili?
Io ritengo di no. Credo che per rilanciare l’economia sia stato giusto incrementare i consumi attraverso l’aumento dei redditi, perché l’impresa italiana è prevalentemente orientata ai consumi interni. Poi si annuncia uno sconto Irap grazie all’innalzamento delle tasse sulle rendite finanziarie: è condivisibile, ora aspettiamo l’attuazione concreta.
Però gli imprenditori incassano la liberalizzazione dei contratti a termine. Ma perché l’urgenza di un decreto?
Credo sia un modo per compensare immediatamente la questione dell’Irpef. E noto che il sindacato, stranamente, non ha detto ancora nulla. Se si toglie la causale dai contratti a termine, diventeranno lo strumento prevalente se non unico che le aziende utilizzeranno. Uno strumento fortemente concorrenziale rispetto ai contratti a tempo indeterminato, e in contraddizione con il “contratto unico” del Jobs Act. A questo punto quest’ultimo diventa quasi superfluo.
Insomma l’articolo 18 è già superato.
L’articolo 18 non c’è più, lo ha cancellato la legge Fornero: introducendo il licenziamento per motivi economici, si è aggirato il fondamento del 18, e nei fatti è cancellato. Penso che il contratto unico potenzialmente sia positivo, a patto che si cancellino tutti gli altri contratti e che resti veramente come unico strumento di inserimento. Inoltre, bisogna vedere come sarà costruito internamente il percorso delle norme e diritti “a tappe”. Dico però che aver scelto la delega è positivo, perché permette, se lo si vorrà fare, di confrontarsi con le parti sociali.
E l’apprendistato? Non diventa una sorta di contrattino «low cost»?
Temo di sì: svuotato degli obblighi formativi e delle percentuali di stabilizzazione, il rischio è che diventi sempre più simile a un contratto a termine low cost.
I progetti sulla cig vanno bene?
Anche qui, dobbiamo aspettare i testi. Ci tengo a dire che va riformato tutto il sistema, introducendo una tutela fondamentale: un reddito minimo garantito universale, che copra tutti.
Passiamo allo scontro Cgil-Fiom. Si dovrebbe tentare una ricucitura?
Credo che la Cgil debba fare il possibile per scongiurare una rottura. L’occasione è il congresso. E la politica potrebbe aiutare: se ci fosse una legge sulla rappresentanza, queste divisioni si potrebbero sanare. Perché non puoi lasciare questo tema tutto ai sindacati: se applichi un contratto erga omnes, dovresti garantirti che almeno la maggioranza dei destinatari di quell’accordo lo condividano.
È corretto il meccanismo della «doppia urna» scelto da Susanna Camusso? E la decisione di non far esprimere paritariamente le due posizioni?
Se l’accordo riguarda una platea di persone, è giusto che a votare siano solo quelle persone: non intendo soltanto gli iscritti, ma tutti gli interessati. Poi gli organismi dirigenti anche degli altri settori, e non più i lavoratori con il voto, possono legittimamente pronunciarsi sull’accordo fatto. Quanto alle assemblee: ricordo che sugli accordi del ’93 e sulle pensioni sono state presentate in tutta tranquillità opinioni a favore e contrarie, il che non ha impedito di approvare quelle intese a larghissima maggioranza.
Nel merito, si criticano le sanzioni e un rischio di incostituzionalità.
Introdurre sanzioni nello schema delle relazioni sindacali è un segno di debolezza, e può distorcere i rapporti dentro le singole imprese. Quando non ci sono comportamenti coerenti con un accordo, la soluzione si trova con un supplemento di confronto. Credo che l’accordo sulla rappresentanza non sia coerente con la sentenza della Consulta sul caso Fiat, ma sui dubbi di illegittimità non ho le competenze per pronunciarmi.
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