Come sostiene la teoria funzionalista, il Maurizio Landini segretario della Cgil è diverso da colui che ha guidato la Fiom. Le aspettative sulla sua elezione erano fin troppo alte. La Cgil è un «organizzazione» – parola introiettata da chi la dirige a ogni livello – troppo pesante e complessa per essere cambiata in profondità, perfino in quattro anni di primo mandato.

Se aggiungiamo la pandemia e la guerra, è chiaro che il mondo è cambiato molto di più rispetto al principale sindacato italiano. E questo sarà sicuramente un vantaggio per i prossimi, decisivi e ultimi quattro anni di Landini a capo della Cgil.

Il programma del congresso non deve rischiare – oramai come succede un po’ dappertutto – di diventare una convention americana o un talk show. Deve rimanere un luogo di discussione vero dove si delinea il futuro del maggior sindacato italiano. L’assenza – in un congresso molto orientato sull’Europa – dell’esperienza di lotta in Francia guidata dalla Cgt e in Inghilterra (lanciata da Mick Lynch e malvista dal Labour di Starmer) non sono un buon viatico.

Le critiche principali fatte al segretario generale sono sostanzialmente due. Per semplificare: da sinistra di essere stato troppo moderato perseguendo l’unità sindacale con Cisl e Uil e finendo per annacquare le lotte e le rivendicazioni storiche che lo hanno portato a essere eletto. Da destra, l’aver cercato un’alleanza sociale con il papa lasciando al suo funesto destino la sinistra partitica.

Due critiche che solo apparentemente sono opposte, come dimostra la realtà odierna. Il governo più a destra della storia repubblicana e una Cisl che ammaina conflitto e sciopero generale.

La sfida di Meloni – invitata come ogni presidente del consiglio al congresso – spiegata da Landini è epocale: ascolto del sindacato come portatore di soli interessi di parte (lavoratori dipendenti e pensionati di sinistra) senza alcuna condivisione delle decisioni perché è il governo, invece, a sentirsi unico portatore dell’interesse generale. Un’evoluzione della rottamazione di Matteo Renzi.

La via praticabile per affrontare questo «inedito assoluto» è evidente: un’alleanza sociale che abbia come interlocutore papa Francesco (l’unico leader a chiedere un nuovo modello di sviluppo), passi per la Uil – con Bombardieri spostatasi a sinistra e critica del capitalismo – e arrivi ai movimenti e ai sindacati di base – portatori di istanze radicali e innovative.

Non è un caso che i risultati più importanti e insospettabili – come raccontiamo in queste pagine – in questi quattro anni siano arrivati da due categorie considerate di destra: trasporti ed edili che hanno innovato la loro azione.
In un quadro completamente mutato Landini ha già indicato la strada: confederalità, mischiando lavoratori e categorie; contratti di filiera; scioperi per stabilizzare precari e dare diritti a partite Iva e autonomi. Il tutto per riunificare il lavoro. Un’impresa possibile solo cambiando i rapporti di forza in tutta la società.