Alla ricerca di una carezza non tentata dal possesso
Emmanuel Lévinas Inediti letterari del filosofo francese: due abbozzi di romanzo, «Eros o Triste opulenza» e «La signora del Wepler», una serie di note filosofiche sul tema dell’eros, poesie e altri scritti giovanili in lingua russa, da Bompiani
Emmanuel Lévinas Inediti letterari del filosofo francese: due abbozzi di romanzo, «Eros o Triste opulenza» e «La signora del Wepler», una serie di note filosofiche sul tema dell’eros, poesie e altri scritti giovanili in lingua russa, da Bompiani
Benché Lévinas non sia mai diventato propriamente uno scrittore, la sua passione letteraria è sempre stata intimamente intrecciata al suo progetto filosofico. Frammenti scritti su carte strane, su cartoncini di pubblicità e quadernetti, con inchiostri colorati diversi, tutto ancora da completare, correggere, riscrivere … Certo questi fogli – ora pubblicati e tradotti in italiano per Bompiani a cura di Silvano Facioni nel volume Eros, letteratura e filosofia. Prove romanzesche e poetiche. Note filosofiche sul tema di Eros (pp. 384, euro 30,00) – possono essere, per chi ama Lévinas, una possibilità di esplorare un fondale importante della sua opera, di immergersi nel suo farsi.
Toccare i vissuti
Dice nella «Prefazione» Jean Luc-Nancy, curatore del libro insieme a Danielle Cohen-Levinas, che la parola d’ordine di Husserl – Alle cose stesse! – si è accompagnata a una sorta di fenomenologia letteraria che si sforza di «far apparire nella sua effettività l’esistenza e più ancora l’esistente… e più precisamente ancora: gli esistenti», come scriverà Lévinas dal 1947. Il romanzo – al pari delle due prove interrotte intitolate Eros o Triste opulenza e La Signora del Wepler –, potrebbe rispondere al desiderio di «costituire» il mondo e quindi di «farlo apparire» in una fenomenologia non solo puramente conoscitiva, ma in presa diretta, in modo davvero esistenziale. È una traccia, che nel solco della filosofia di Husserl e di Heidegger si può ritrovare, secondo variazioni sempre nuove, in Sartre, Camus, Malraux, Céline, Benjamin, Bataille, Kojève, Merleau-Ponty.
Le vite, quando sono raccontate per toccarne il vissuto, si trovano a patire, o a godere, della caduta delle forme ingessate dei ruoli e dei comportamenti assegnati, nel teatro di una normalità che non si scuote se non di fronte alla sua catastrofica inadeguatezza di fronte agli eventi che segnano la storia collettiva e la biografia dei singoli: la guerra, il caos, l’eros sono – nei frammenti di Lévinas – gli agenti di questo dramma. La sua scrittura procede per istantanee, nelle quali si aprono intuizioni e commenti di tonalità filosofica, ma sembra che gli venga a mancare il respiro lungo della costruzione architettonica.
Così la descrizione della sconfitta e del crollo della Francia, la rovina della patria e con lei di ogni gerarchia di senso, è subito commentata da una cripto citazione di Dostoevskij: «tutto è permesso», che nello scrittore russo veniva a trarre le conclusioni etiche dell’ipotesi dell’inesistenza di Dio.
«Niente più Francia» e «tutto è permesso» incorniciano una scena nella quale Jules, disceso nel rifugio, si trova vicino una liceale e sente con gioia «rinascere in lui il desiderio senza ambiguità, senza patetismo». Il francese medio, prototipo dei protagonisti del racconto, «fiutava il caos», la fine «dell’immensa stabilità» con la quale aveva identificato la Francia. In un sogno che, in forme diverse, viene ripreso più volte, si sente il rumore «dei drappi che cadevano. Nell’ampia sala del mondo non restavano che nudi mobili, nude colonne … i drappi – la patria era questo. Ed ecco che non era possibile recitare alcun ruolo nel fragore dei drappi che cadevano tutto intorno. Niente era più ufficiale».
Con sardonica amarezza, ma con convinzione, Lévinas cita, senza ovviamente menzionarlo esplicitamente, visto che sta scrivendo un romanzo, proprio la frase guida di Husserl: «le cose stesse venivano raggiunte». Pare dunque che l’esistente si possa intravvedere solo quando i drappi cadono, l’ufficialità si sgretola, dopo l’esperienza del caos e del riaffacciarsi a una sorta di vitalità elementare. Che non è affatto, tuttavia, una vera alternativa alle coperture del filisteismo della quotidianità. In un primo riemergere dal caos appare «una mistura di grande bellezza e di grande bassezza», un erotismo cannibalico, quasi un ignobile attaccamento alla vita, «il desiderio di queste bocche sdentate di continuare a mangiare … pezzi di carogne guarniti di legumi alterati in mezzo a tanfi di cucina e a carte unte». Un fremito di tutte le membra, come l’immagine di qualcuno «che godeva tutto solo».
Insieme al nascosto
Imparentato con il godimento, il ritorno vitale è come una nuova forma di morte. Ma non è questo l’Eros vitale, perché – al contrario – Eros è la ricerca di una carezza che non tenta di possedere, «è come un gioco con qualcosa che si sottrae. La sua essenza è proprio nella ricerca: quando la stretta nel suo parossismo diventa come un possesso, è morta, come se avesse afferrato quanto non cercava».
L’Eros è la comunione con il nascosto, è la relazione che si apre con Altri e che costituisce allora la specificità stessa dell’io. Scrive Lévinas nelle Note filosofiche su eros: «Questa relazione costituisce tutta la specificità dell’io: è lo stesso e l’altro. Non lo stesso che diviene altri, ma che nella sua ipseità è entrato in un altro destino, si è liberato della sua posizione per impegnarsi in un’altra e che è divenuto altri».
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