Alla Ricerca di Simurg,  un coro per sentirsi persone
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Alla Ricerca di Simurg, un coro per sentirsi persone

Incontri Liberamente ispirato a Il verbo degli Uccelli, testo Sufi del mistico persiano Farid Ad-Din 'Attar: interpretato dal coro Voci dal Mondo di Mestre, a Sarajevo
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 agosto 2022

Il coro Voci dal Mondo di Mestre è musica, auto mutuo aiuto e molto «più che un coro multietnico», come spiega la direttrice Giuseppina Casarin. Fondato nel 2008 per iniziativa di un gruppo di operatori di strada, negli anni ha praticato una serie di «reti di interdipendenza» che ricordano i contemporanei movimenti politici dal basso, quali il Care Collective inglese e il transnazionale PirateCare, come antidoto alla «incuria dilagante» del turbocapitalismo (Tronto 2013, The Care Collective 2020). Con un processo naturale, infatti, il ruolo di mediazione degli operatori di strada è stato via via svolto dagli stessi coristi che offrendo ospitalità nelle proprie case o supporto per la ricerca di un lavoro, hanno aiutato molte persone migranti coinvolte nel laboratorio musicale. Così da quelle forme spontanee di «tutoraggio» sono nate in seguito collaborazioni con la Asl, i Servizi Sociali, la Caritas, le associazioni culturali e sindacati, mentre i membri sono diventati una numerosa e variegata comunità comprendente anche diverse persone con disabilità.

L’onda accogliente di queste voci è giunta fino a Sarajevo, nelle giornate dall’11 al 14 agosto, con un’opera musicale dal titolo Alla Ricerca di Simurg, liberamente ispirato a Il verbo degli Uccelli, testo Sufi del mistico persiano Farid Ad-Din ‘Attar, risalente al XII secolo, su cui il coro ha riflettuto insieme alla scrittrice Susanna Bissoli, che fin dall’inizio segue lo sviluppo creativo di questo viaggio. Il verbo degli Uccelli narra di uno stormo che parte per un viaggio alla ricerca di Simurg, «un dio capace di placare la confusione che è nel mondo, o almeno così credevano gli uccelli» . Alla fine del loro volo scoprirono che Simurg era uno stagno in cui potevano rispecchiarsi, un’allegoria mistica dell’intrinseco potenziale di ogni essere vivente, come la Torre Preziosa del Sutra del Loto in cui si immedesimò Abutsu-bo.

Così lo «stormo» da Mestre ha fatto tappa a Sarajevo, circa settanta persone, provenienti da tre progetti musicali condotti, fra Veneto e Friuli, dalla maestra Casarin, Voci dal Mondo, Cicale e Canto Spontaneo uniti insieme per la creazione della Carovana della Musica – Alla ricerca di Simurg. L’obiettivo di questo percorso in fieri è percorrere a ritroso l’ultimo tratto della rotta balcanica, per portare l’attenzione sulle impietose condizioni di vita delle persone che attraversano le montagne, spesso senza vestiti e scarpe, vittime di respingimenti illegittimi e vessazioni da parte della polizia di confine tra Croazia e Bosnia (Report Amnesty 2020). La carovana della musica Alla ricerca di Simurg ha inoltre portato nei campi profughi bosniaci di Ušivak e Blazuj, un dono concreto e singolare, circa centocinquanta strumenti musicali raccolti durante i concerti in Italia e donati dal pubblico. Potrebbero apparire beni non essenziali, eppure come ha testimoniato Primo Levi in Se questo è un uomo, sopravvivere non è solo nutrirsi o dissetarsi. Quando tra le fatiche del campo di concentramento, cercava di trasmettere al giovane Jane l’armonia dei versi di Dante nel Canto di Ulisse affermava: «per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono». L’arte, la letteratura e la musica non sono superflui nei contesti di fragilità, questo è il senso del viaggio della carovana, espresso chiaramente nella sua pagina web «Una coperta per il freddo, il pane per la sopravvivenza, la musica e il canto per sentirsi persone».

L’idea di un progetto a tappe sulla rotta balcanica è nato durante il periodo del secondo lockdown, durante un incontro da remoto fra i membri del coro e l’attivista Diego Saccora, all’epoca nel campo di Bihac. Tutti i partecipanti e in particolare i ragazzi che avevano vissuto la traumatica esperienza della rotta mediterranea, furono profondamente colpiti dai racconti sul «Game», il terribile percorso a ostacoli nei Balcani che i migranti provenienti dall’Asia o dal Medio Oriente sono costretti ad affrontare. Il parallelismo era forte e come ha raccontato Giuseppina Casarin, a un certo punto uno dei coristi, Richard Zoua Kouadio ha dichiarato «se c’è da aiutare aiutiamo», mentre Akindow Ismail Abesin ha risposto: «noi siamo voi». Con energia affiorava il tema del protagonismo dei migranti presenti nel coro, per cui come spiegato nella brochure esplicativa del progetto, si è cercato di valorizzare la loro opera attiva, sono «così divenuti da sostenuti a sostenitori, per un’altra battaglia tanto simile a quella da loro vissuta in prima persona».

Da quell’incontro virtuale è sorto dunque un interrogativo condiviso: cosa poter fare e come riuscire a non restare indifferenti. Hanno deciso collettivamente di muoversi con la musica, innanzitutto attraverso una raccolta di strumenti musicali, segno di vicinanza e testimonianza che esiste una parte dell’Europa che non lascia i profughi da soli. In seguito sono state contattate associazioni del territorio bosniaco che lavorano con i migranti e la musica e come racconta Elisa Giolo, corista attiva nell’organizzazione del viaggio, la bussola è stata il desiderio di non voler «calare dall’alto», non portare soluzioni ma cercare di conoscere le realtà locali preesistenti per condividere esperienze. È il caso di Intergreat che gestisce un ostello per turisti e con il ricavato finanzia alloggi per i migranti.

Il 12 agosto due delegazioni di circa dieci persone autorizzate all’ingresso nei campi, fra cui le musiciste Roberta Pestalozza, Sandra Mangini e il duo Storie Storte hanno portato alcuni degli strumenti musicali da donare. Il loro ingresso è stato discreto, ha facilitato l’interazione musicale con gli ospiti dei campi e l’incontro è avvenuto con un approccio di grande ascolto, attesa e dopo dialogo tra voci, per cui tutti erano, un quel momento, protagonisti e artisti allo stesso modo.

Con la medesima empatia, il 13 agosto, la carovana si è esibita camminando in città verso piazza di Bašcaršija, in uno spazio caotico e con un’alta tensione all’ascolto, tipica ad esempio delle «passeggiate sonore» ideate da R. Murray Shafer. Il pubblico ha partecipato allo srotolamento in piazza di una bandiera di più di duecentocinquanta metri quadrati, portata lì dall’Associazione Ritmi e Danze dal Mondo di Giavera (TV), contenente tutte le bandiere del mondo, sotto cui i coristi hanno camminato cantando.
Il 14 agosto al concerto finale le persone migranti incontrate ai campi profughi, hanno condiviso un momento di festa travolgente con la Carovana della Musica e i cittadini di Sarajevo, sulle note di un gruppo musicale balcanico. Il fatto che dei profughi a Sarajevo siano stati coinvolti in un grande ballo è stato definito «straordinario» dalle organizzatrici. Così come il poter entrare in un campo profughi, conoscere le persone, parlarci, cantare con loro. È stato straordinario secondo Elisa Giolo «il superamento del confine da parte di chi è stato respinto», anche perché non tutti i coristi avevano i requisiti per varcare la frontiera extra-europea della Bosnia e sono stati costretti a rimanere in Italia. E la maestra Casarin conclude «diventa straordinario che un ragazzo nigeriano che ha vissuto un viaggio terribile, la rotta mediterranea, sia in centro a Sarajevo a cantare, così, liberamente: è un fatto semplicissimo ma straordinario».

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