Alla ricerca del coraggio perduto
Intervista Parla la scrittrice francese Edith de la Héronnière che presenta a Torino Spiritualità il suo «Ma il mare dice no». «Gli eroi letterari ci aiutano a tracciare la linea d’orizzonte di un futuro inedito: arrivano dove noi sogniamo di arrivare»
Intervista Parla la scrittrice francese Edith de la Héronnière che presenta a Torino Spiritualità il suo «Ma il mare dice no». «Gli eroi letterari ci aiutano a tracciare la linea d’orizzonte di un futuro inedito: arrivano dove noi sogniamo di arrivare»
«Per quel che mi riguarda la letteratura è fatta dalle piccole case editrici, che sono molto numerose e fanno un lavoro eccezionale». Edith de la Héronnière è una scrittrice francese, autrice di un’opera composita che spazia dall’analisi degli scritti del grande poeta Joë Bousquet a una monografia sul filosofo Pierre Teilhard de Chardin fino a un libro dedicato a Roma.
Il 29 settembre sarà ospite alla XIV edizione del Festival Torino Spiritualità dove è stata invitata a parlare della sua opera Ma il mare dice no, una collezione di personaggi della letteratura mondiale di tutti i tempi con cui l’autrice dichiara di essere in una relazione di amicizia, che si sono distinti per la loro capacità di opporre un rifiuto a forme diverse di ingiustizia. Quest’anno, infatti, il tema del festival coincide con la celebre risposta: «Preferirei di no», che il personaggio protagonista del racconto di Herman Melville Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street oppone strenuamente a ogni forma di dovere sociale, insegnandoci il prezzo altissimo e assurdo della libertà. A Bartleby Edith de la Héronnière ha dedicato proprio il primo capitolo del suo testo.
I personaggi protagonisti di «Ma il mare dice no» si distinguono per il loro coraggio. Lei crede, al contrario del Galileo di Bertolt Brecht, che la terra abbia bisogno di eroi?
Ci sono molte forme diverse di coraggio, alcune discrete e poco eclatanti. Quanto agli eroi letterari di cui parlo in questo testo, noi ne abbiamo bisogno perché ci aiutano a tracciare la linea d’orizzonte di un mondo possibile: arrivano fino in fondo, là dove noi sogniamo di arrivare, realizzano i nostri desideri più segreti, per esempio quello di arrampicarci su un albero e non scendere mai più, anche se questa scelta di Cosimo, lo so, è una metafora della resistenza.
Lei ha una relazione privilegiata con l’Italia, su cui ha scritto molto, dedicando un intero libro a Roma: «Fugue Romaine». A proposito di questa città, James Joyce diceva che era come un uomo che si mantiene mostrando ai visitatori il corpo della nonna defunta. Crede che lo spazio indiscutibile occupato a Roma dal passato impedisca alla città di evolvere?
Certo, vista così, Roma è un accumulo di cadaveri. Se si considerano i monumenti, le rovine, la tradizione, le tracce come se fossero dei cadaveri, Roma batte tutti i record. Non possiamo dimenticare che la città è alle origini della civiltà occidentale e ha influenzato anche quella medio-orientale. È essenziale conoscere le nostre radici, sono strumenti per comprendere il nostro presente. Per me l’archeologia e la storia sono fonti di grande ispirazione, oltre che di insegnamento. Roma non ha smesso di cambiare, più che altro mi sembra decaduta per la scarsità di fondi che le vengono destinati e a causa di un turismo di massa che la soffoca, ma non è una città ferma, c’è sempre qualcosa che si rinnova nelle sue strade, nelle sue piazze e soprattutto nella sua gente.
Lei ha lavorato con l’editore «L’Ippocampo» avendo così la possibilità di conoscere il mondo dell’editoria italiana. Che cosa ne pensa? Che differenze vede rispetto al contesto francese?
La casa editrice «L’Ippocampo» di Milano mi ha pubblicato con entusiasmo, dimostrando una cura editoriale per i miei testi davvero eccezionale. In Francia, rispetto all’editoria, siamo fortunati, esistono case editrici per ogni tipo di libro. Rispetto al mio ambito – quello letterario – ci sono moltissime piccole realtà che svolgono un lavoro davvero significativo. Poi io ho un debole per le svariate riviste letterarie (Nrf, Europe, En attendant Nadeau che pubblicano sia testi autoriali che di critica letteraria.
Vede un legame tra la scelta di rifiuto per ragioni etiche ed estetiche dei personaggi che descrive in «Ma il mare dice no» con ciò che Cristina Campo definisce «sprezzatura»?
La sprezzatura è una disposizione dell’animo, significa porre un distacco interiore rispetto al proprio agire, un distacco elegante direi, una leggerezza che, sì, trovo in alcuni personaggi di «Ma il mare dice no»: Cyrano de Bergerac, per esempio.
Di questi personaggi lei scrive che loro sanno che la felicità è un’illusione e per questo non la cercano, perché devono difendere qualcosa di più importante. Cosa?
Per alcuni si tratta della dignità umana, per altri della giustizia, la sacralità della morte per Antigone, la difficile libertà. Per tutti, è quello spazio vitale aperto dal loro rifiuto all’opacità del mondo così così com’è, con tutte le sue oppressioni.
Può indicarci dei personaggi letterari con cui ha ugualmente una relazione di amicizia, ma che sono invece fragili, paurosi, disperatamente alla ricerca della felicità?
Certo: Mattia Pascal di Pirandello, Gregorius di Treno di notte per Lisbona di Pascal Mercier, Wade di Affliction di Russell Banks.
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