Il paradosso è tutto italiano: l’università perde iscritti e immatricolati, ma aumenta il numero dei corsi di laurea a numero chiuso. Tra i paesi Ocse siamo penultimi nel numero dei laureati, ma continua imperterrita la restrizione e la mercificazione dell’accesso ai saperi e alle conoscenze. Negli ultimi dodici mesi il numero chiuso è aumentato dal 39% al 43,5%: dai 1687 corsi del 2014 oggi siamo a 1846 su 4234, + 5% hanno calcolato l’Unione degli Universitari e la Rete degli studenti medi. Economia, giurisprudenza, psicologia, architettura, veterinaria, scienze della formazione e poi, soprattutto, medicina e professioni odontoiatriche dove ieri si è svolta in tutto il paese la mega-prova a quiz che ha coinvolto 60.639 candidati per 9.530 per medicina, 792 per odontoiatria.

In cento minuti gli aspiranti camici bianchi hanno dovuto rispondere a 100 quesiti: tra gli altri, due di cultura generale (chi non è stato presidente della Repubblica e sull’Expo di Parigi del 1900), 20 di logica, 18 di biologia, 12 di chimica e 8 di matematica e fisica. La prova è stata unica e presto sarà stilata una graduatoria nazionale. Si resta in attesa dei regolari ricorsi che negli ultimi anni hanno sconvolto l’ordine delle prove e, in nome del diritto allo studio e dell’università pubblica, hanno riammesso migliaia di candidati. Gli atenei hanno incassato quasi 3 milioni di euro, ha calcolato il sito skuola.net, risollevando le sorti dei bilanci che languono.

Secondo le stime si passa dai 10 euro per iscriversi ai test di Milano Bicocca ai 100 di Napoli. Al di sotto la media di 50 euro a candidato, Tor Vergata di Roma e l’Università de L’Aquila: 35 euro. Per gli atenei significa una rendita annuale di 300 euro, soldi guadagnati dalla cancellazione di un diritto. Una cifra sicura, nonostante la contrazione di 7 mila iscritti ai test di medicina in un solo anno. Bisogna anche considerare che 3 candidati su 4, consapevoli della possibilità di un fallimento, si sono iscritti a più prove. Quindi doppia tassa, dita incrociate e speriamo di passare. Altrimenti, rivela il sondaggio, il piano B ritentare l’anno prossimo nel 60% non mollerà la presa. Il 5% proverà la strada dell’università straniera in medicina. Ieri alla Sapienza e a Tor Vergata a Roma, gli studenti del coordinamento universitario Link e quelli dell’Udu (protagonisti di un blitz notturno al Miur) hanno organizzato proteste e flash-mob.

«Il test è assolutamente iniquo – sostiene Federica Ciarlariello, coordinatrice Link Sapienza – Se questa situazione nei prossimi anni non dovesse mutare, vedremo uno squilibrio pesantissimo tra pensionamenti nel settore medico e l’ingresso di giovani specializzandi, andando a ledere direttamente un diritto fondamentale come quello alla salute». «Dopo gli impegni mancati della Ministro Giannini dello scorso anno, il Governo vuole lavorare ad una riforma dell’università: per noi rimettere al centro gli studenti e il loro diritto all’accesso è imprescindibile – afferma Gianluca Scuccimarra – metteremo a disposizione una app gratuita per android “test d’ingresso sicuro 2015, e la nostra mail ricorsi@unionedegliuniversitari». La polemica sul numero chiuso ha interessato anche i rettori. Eugenio Gaudio (Sapienza) è soddisfatto: «La riforma ha prodotto benefici. Nel settore medico si laurea oltre il 90% degli studenti, il 60% in tempo». Pollice verso per Ivano Dionigi, rettore a Bologna: «Il numero dei ragazzi che possono accedere è inadeguato. C’è questo trip dei ricorsi e controricorsi di cui non se ne può più. C’è bisogno di una revisione dei test, a cui io credo ancora come male minore, e di un rapporto organico, strutturato e nuovo con il servizio sanitario nazionale». Il governatore del Veneto Luca Zaia conferma la sua ostilità ai test. Per lui gli studenti sono “vittime del governo Renzi”. Nei test «vanno avanti i più fortunati e ricchi che possono permettersi tutoraggi e università estere».

Il modello proposto è quello francese, di cui ha parlato la stessa Giannini: fare entrare tutti e poi sbarrare l’accesso dopo il primo anno. Secondo un altro sondaggio di Skuola.net il 67% dei candidati lo preferirebbe, 1 su 3 preferisce mantenere il numero chiuso.