Alitalia, tutti contro tutti
Scimitarra araba I soci di Cai ai ferri corti per la copertura dei debiti, con Poste che investe solo nella nuova compagnia. Sindacati più che mai divisi: doppio referendum e accuse reciproche.
Scimitarra araba I soci di Cai ai ferri corti per la copertura dei debiti, con Poste che investe solo nella nuova compagnia. Sindacati più che mai divisi: doppio referendum e accuse reciproche.
Con i soci di Alitalia-Cai ai ferri corti e i sindacati di piloti, assistenti di volo e lavoratori di terra più che mai divisi, arriva la vigilia dell’assemblea degli azionisti che in teoria dovrebbe chiudere il capitolo Cai, e dare il via libera finale al matrimonio fra l’ex compagnia di bandiera e gli arabi di Etihad. Tutti i desiderata dell’ad Gabriele Del Torchio e del governo, rappresentato nell’occasione dal ministro dei trasporti Maurizio Lupi e da quello del lavoro Giuliano Poletti, sono ancora lontani dall’essersi realizzati. Di giorno in giorno, per giunta, si moltiplicano le occasioni di nuove divergenze. L’ultimo scontro riguarda il referendum fra i lavoratori sull’integrativo aziendale e il contratto nazionale di lavoro per il trasporto aereo. Una consultazione indetta in fretta e furia dai sindacati firmatari Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl, con le urne aperte già ieri e pronte a chiudersi domani alle 8, subito prima dell’assemblea degli azionisti. Ma con la Uilt e i sindacati autonomi di piloti, hostess e steward Anpac, Avia e Anpav che parlano di “farsa”, e organizzano un’altra consultazione da lunedì 28 a venerdì primo agosto.
Le frizioni tra i soci di Alitalia-Cai, sul tema caldissimo della copertura degli ingenti debiti della compagnia nella fallimentare avventura dei cosiddetti “patrioti”, riguardano in particolare i rapporti fra le banche azioniste Intesa San Paolo (22%) e Unicredit (13%), e gli ultimi arrivati di Poste Italiane. Chiamate l’anno scorso a un investimento a fondo perduto di 75 milioni per evitare il fallimento della compagnia, e per niente intenzionate a un ulteriore esborso di 40 milioni per coprire la quota parte di perdite del 2013, più eventuali contenziosi. Una delle tante richieste capestro fatte da Etihad per entrare con il 49% nella nuova società. Il cda di Poste ha dato il via libera all’investimento di 40 milioni, ma solo per entrare fra gli azionisti della nuova compagnia. Con l’esplicita puntualizzazione che il nuovo finanziamento deve essere improntato a una logica industriale e di mercato. “Non siamo speciali rispetto agli altri soci Alitalia – ha spiegato ieri l’ad Francesco Caio – ma diversi sì: siamo un’azienda pubblica, e il fatto di essere al 100% di proprietà dello Stato ci porta ad essere sotto la lente dell’Europa, perché il nostro contributo non si configuri come un aiuto di Stato”.
Se la posizione di Poste può essere apprezzata dai contribuenti italiani, va da sé che non riscuota le simpatie delle banche azioniste. “Per Alitalia è assolutamente escluso un ulteriore impegno – avverte Gian Maria Gros-Pietro di Intesa San Paolo – la nostra parte l’abbiamo fatta, ora è importante che gli altri facciano quella che spetta a loro fare”. Insomma siamo vicini alle minacce. Per somma gioia di Lufthansa e British Airways, già da tempo al lavoro presso la commissione Ue di Bruxelles per mettere bastoni fra le ruote all’alleanza italo-araba. Che porterebbe un nuovo, grande e pericoloso concorrente nel settore del trasporto aereo.
Quanto ai referendum, e più in generale alle ormai conclamate geometrie variabili fra sigle sindacali a seconda dei temi in discussione (dai quasi 1700 licenziamenti ai contratti di primo e secondo livello), a questo punto lo scontro aperto è una certezza: “E’ indispensabile fare chiarezza – sostengono Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl – e l’unico modo per farlo, prima dell’assemblea dei soci del 25 luglio, è fare esprimere attraverso un referendum tutti i lavoratori del gruppo Alitalia”. A stretto giro di posta la risposta di Uilt, Anpac, Avia e Anpav: “Alitalia ha imposto unilateralmente i tempi della consultazione, prevedendo tempi limitatissimi che precludono alla gran parte dei lavoratori turnisti e fuori sede la possibilità di partecipare, e senza consentire l’informazione necessaria per tutti i lavoratori. Per come il referendum è stato costruito, la larga parte nei naviganti non ha possibilità di votare e le garanzie di segretezza e certificazione del voto non ci sono. Dulcis in fundo non è da escludersi il trappolone: chi vota si esprime e gli applico le trattenute”.
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