Alicudi, teatro di un dramma familiare (e femminile)
Esordi Quello di Marta Lamalfa è un discorso contemporaneo e sottilmente analitico, capace d’indagare il corpo di un’isola e di esplorare la femminilità con uno sguardo quasi etnografico
Esordi Quello di Marta Lamalfa è un discorso contemporaneo e sottilmente analitico, capace d’indagare il corpo di un’isola e di esplorare la femminilità con uno sguardo quasi etnografico
L’elemento che facilmente contraddistingue, in modo particolare e spesso assoluto, un’isola e il suo territorio è il contrasto perenne tra la materia dura e aspra del suo terreno, della sua roccia e delle sue selve con la forza liquida e impattante del mare. È un confronto radicale, a tratti violento, ma anche capace di offrire anfratti di rifugio. Una forma di terrore e insieme di salvezza fisica quanto emotiva.
SI APRE come una vera e propria indagine poliziesca, al tempo stesso percorsa da una tensione mistica, il libro d’esordio di Marta Lamalfa, L’isola dove volano le femmine (Neri Pozza, pp. 312, euro 18), un’opera che restituisce alla contemporaneità la quotidianità aspra e violenta di un’isola come Alicudi, tanto più se l’ambientazione scelta è quella dell’inizio secolo. Il 1903, anno d’ambientazione della storia, è visto nel mentre di una tragedia che sembra colpire tutte le donne della famiglia di Caterina a partire dalla sorella, uccisa da un atroce male che anche dopo la sua morte serpeggia ossessivamente come un presagio terribile. È una visione, quella del corpo di Maria, che appare a Caterina quale segnale emblematico di una maledizione tremenda. Il corpo freddo e irrigidito dal male ora attraversa gli occhi di Caterina senza pace.
LA SCRITTURA di Marta Lamalfa è fortemente mimetica e va a riprodurre quel pensiero sotterraneo che spesso (ma non è questo il caso) scivola nel cliché di una ricostruzione a tratti mistica e a tratti un po’ kitsch dell’Italia del sud. Una scrittura che invece in Lamalfa resiste e si oppone a un facile scivolamento sentimentale. Quello dell’autrice è un discorso contemporaneo e sottilmente analitico, capace per questo d’indagare il corpo di un’isola e di esplorare la femminilità con uno sguardo quasi etnografico. Più che Elena Ferrante, anche se evidentemente in questo libro sono presenti punti di contatto, soprattutto nella trama della vicenda, la scrittrice sembra rifarsi a Carlo Levi e più ancora a quello sguardo volto al sud d’Italia che ricorda a tratti la letteratura di Saverio Strati, per densità e forza di visione.
L’isola dove volano le femmine ricostruisce, con lo sguardo di un tempo oggi a noi profondamente lontano, una vicenda tragica ma capace di contenere verità ed evidenze contemplabili nel nostro presente.
LA QUALITÀ ROMANZESCA de L’isola dove volano le femmine offre inoltre uno sguardo ampio e godibile che attrae e seduce, delineando nei caratteri dei personaggi il carattere stesso di un luogo che diviene parte fondante di una comunità e dei suoi movimenti emotivi, sempre in bilico tra una realtà dolorosa e tragica e un sogno che ha, nella sua evidente inquietudine, uno spazio irriducibile di libertà ed emancipazione.
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