Cultura

Alice Ceresa, l’esatta glaciazione dell’ultimo saluto

Alice Ceresa, l’esatta glaciazione dell’ultimo salutoUn ritratto di Alice Ceresa / foto di Barbara Fittipaldi

ANNIVERSARI A proposito de «La morte del padre» (edito da La Tartaruga), della scrittrice di origine svizzera di cui il 25 gennaio 2023 ricorrono i cento anni dalla nascita. Torna in libreria il racconto lungo pubblicato per la prima volta nel 1979: una fulminante radiografia, speculativa e politica, di una famiglia patriarcale alle prese con il congedo definitivo. Il dolore è quasi inesistente anche se qualcosa accade

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 31 dicembre 2022

In una camera ardente allestita accanto a un ospedale di una piccola cittadina, una famiglia è riunita attorno al proprio defunto. Tutto è stato preparato, eppure nessuno ha pensato a una sedia per consentire a chi arriva di stare accanto al feretro. In questa immagine precisa, anche se all’apparenza secondaria, aleggia il clima di scomodità – non solo posturale – che apre e accompagna La morte del padre di Alice Ceresa. Racconto lungo, è stato pubblicato per la prima volta nel 1979 nel numero 62 della rivista «Nuovi Argomenti», poi riedito nel 2004 nella raccolta La figlia prodiga e altri racconti (per la Tartaruga) e infine per EtAl, singolarmente, nel 2013 corredato dal «Ritratto di Alice», a firma di Patrizia Zappa Mulas.

Fuori commercio da qualche anno, La morte del padre (pp. 75, euro 16) torna finalmente in libreria per La Tartaruga (la cui direzione editoriale, dopo quella di Laura Lepetit, è ora di Claudia Durastanti) nell’ultima versione (quindi con lo scritto di Zappa Mulas), squadernando lo scenario talvolta intimistico e retorico che si attribuisce alla perdita. La riedizione di un testo così denso e tagliente, offre l’occasione di leggere, o rileggere, una scrittrice magistrale, che ha fatto della narrazione un metodo sferzante insieme speculativo e politico.
Nata a Basilea il 25 gennaio del 1923, presto trasferitasi a Roma, avere a disposizione i suoi libri rappresenta la possibilità di contrastare l’ovvio di tempi, come questi presenti, assediati da passioni tristi e tiepide. Siamo al cospetto di un testo di marca autobiografica, giacché il padre di Ceresa decede nel 1977. Chi muore, nel racconto, è un padre di una famiglia patriarcale, solo che la morte arriva come una «glaciazione» a ricordare che in un nucleo in cui a prodursi è stata solo infelicità non c’è spazio neppure per il dolore, o quantomeno vi è un legittimo cortocircuito del sentire.

NON C’È SEDIA che tenga in ordine i ruoli convenzionali, neppure le riabilitazioni oltremisura, quelle inventate da chi resta per riempire voragini di mancato amore, per esempio. Non c’è neppure un luogo in cui far dimorare il bene verso l’umano, fa capolino però la cosa più importante: il tempo necessario alla trasformazione che si deve ai viventi, come a volerci rammentare che, anche nel distacco estremo, la sofferenza ha una temperatura che si conosce solo dopo che molte ere geologiche di disaffezione hanno lasciato campo libero per accettarsi vulnerabili. Ciò che descrive Alice Ceresa è dunque il processo di separazione che avviene dal momento della morte altrui a quello del saluto imposto dal funerale. Un rivolo che esce fuori dallo scorrere automatico del rituale e in cui non si sa esattamente che fare, eppure lo si lascia accadere.

COMINCIA COSÌ una delle più fulminanti radiografie di quel che, alla fine degli anni Settanta, era già andata abbondantemente in malora: la famiglia, intesa come forzata unione senza identità specifiche se non quelle di auto-nutrire e auto-celebrare se stessa come cellula sociale vocata all’eternità. Un coacervo di collusioni contrarie al desiderio e alla pratica di libertà, in sintesi un apparato delegatorio di violenza. Anche qui, come in La figlia prodiga (1967) e Bambine (1990), Alice Ceresa fa presente che ogni esperienza organica non può scavalcare il significato simbolico, quindi politico. Sapeva già, Ceresa, che la biologia non può essere forse un destino, quando scrive La morte del padre, e ancora prima La figlia prodiga, aveva fatto l’incontro dirimente del femminismo. Eppure, la biologia, non la si può ignorare se non a patto di fare atto di inutile protervia verso sé stesse. Ecco la ragione per cui nella crescita delle sorelline di Bambine vi sono i termini di una germinazione insieme corporea e psichica, ed essa è già anatomia del potere. Come anche per la figlia prodiga, in cui la parabola sovversiva si scontra nella individuazione sessuata di sé. È in effetti la stessa famiglia che la scrittrice prende in esame in momenti diversi della vita di quel vincolo di sangue.

Dopo la morte del padre, in questi quasi tre giorni, descritti e dettagliati fino all’osso, una madre (e moglie), due figlie e un figlio, raccontano il passaggio, singolare e soggettivo, della distanza definitiva che non è ancora diventata lutto bensì taglio chirurgico dell’elemento che aggregava fino a quel momento ogni altro componente, con la differenza che l’acredine lascia qui il posto alla pietas – pur sempre ironica – per un Leviatano ormai decomposto. Di che qualità sia questa mutazione ce la si può figurare come una coda di lucertola che continua a muoversi dopo essersi staccata dal corpo. O come accade, scrive la stessa Ceresa, agli anellidi in generale.

SPROVVISTI di nome proprio ma presenti e attivi nelle funzioni, come in tutti i libri di Alice Ceresa, a prendere parola sono – in questo caso – delle voci da un al di qua della morte in cui il padre giganteggia e balugina ancora nel congedo. Due le notti cui assistiamo e in questo buio, mentre le figlie e il figlio cominciano il personale commiato, lui trasmuta contraendosi ed evaporando, mostrandosi corpo e poi concetto. Ha abbandonato il compito del capo-famiglia, ovvero «l’amministratore unico» di quella «estrema cellula» capace di offrire allo stato «una fondamentale attività di manovalanza» (che la scrittrice tanto bene indaga alla voce «Famiglia» del suo Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile, edito postumo nel 2007 – Ceresa muore nel 2001 – con la cura di Tatiana Crivelli per Nottetempo, riedito nel 2020). È diventato, questo padre, un movimento di immaginazione da parte della primogenita che ne assume le sembianze dopo averlo digerito. Per la figlia minore, definita «sistemino ragionante che funziona elettronicamente», si tratta della sospensione attonita che si riconosce a ogni scomparsa. Per il figlio, che dentro di sé aveva seppellito il genitore anni addietro, è la coscienza di un essersi voltato in un’altra direzione.

PER CHI LEGGE invece, La morte del padre è la fortuna di lasciare ogni significato scontato per tornare coi piedi per terra. E dire che sì, così scompare un patriarca che, nella sua funzione svolta forse egregiamente, non dice tuttavia l’intero del paterno e dell’essere stato padre, l’unico, di qualcuno. E in quell’esplosione, che è pur sempre solo di un dispositivo, si può forse festeggiare un senso di imprevista leggerezza ma anche lo smarrimento di non sapere come va a finire per quel nugolo di orfanità. Alice Ceresa nel frattempo ha scelto, custodendo e distillando una esperienza complessa per renderla alla fertilità dell’amore per la scrittura. «A fronte di tanta prodiga generosità», come l’ha definita Laura Fortini, desideriamo ringraziarla.

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SCHEDA. La figura e l’opera. Ristampe, convegni e iniziative

Per omaggiare il centenario della nascita di Alice Ceresa, il 25 gennaio 2023 si svolgerà a Roma – alla libreria Tuba – una «Maratona Ceresa» (introdotta da Laura Fortini e Alessandra Pigliaru) che sarà intesa come lettura aperta e pubblica di suoi testi da parte di scrittrici, autrici e amiche che a vario titolo si sono occupate di Ceresa o la amano.
Circola un indiscutibile e fecondo interesse verso la scrittrice, basterebbe leggere la pagina che Nadia Terranova le ha dedicato su Robinson di «Repubblica» il 3 dicembre di quest’anno o nominare la giornata alla Sapienza di Roma del 14 dicembre, dedicata dall’associazione «Le Altre» alle «Scrittrici fuori programma» in cui è stata inserita anche Ceresa. In anni recenti si è riparlato di lei, per esempio nella giornata di studio (digitale) del 30 ottobre 2020: Nel mondo di Alice (Ceresa) Scrittura, pensiero, differenza. Nell’aprile del 2021 Scrivere dall’altrove, incontro internazionale all’Istituto svizzero di Roma. Nel giugno del 2021, alla Casa della Letteratura della Svizzera italiana, Alice Ceresa e l’ineguaglianza femminile. Da segnalare, nel 2021, il numero 49 della rivista dell’Archivio Svizzero di Letteratura «Quarto», dedicato a Ceresa (con contributi di Giovanna Cordibella, Tatiana Crivelli, Laura Fortini, Annetta Ganzoni, Maria Isabella Giovani, Francesca Rodesino, Monika Schüpbach e altri). Nello stesso anno, il numero 76 della rivista «Le voci della Luna» è stato dedicato a Ceresa. Oltre a La morte del padre (ora riedito per La Tartaruga), nel marzo 2020 per Nottetempo è stato ristampato il suo (postumo) Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile. Nello stesso mese ha visto la luce anche Abbecedario della differenza. Omaggio ad Alice Ceresa, a cura di Laura Fortini e Alessandra Pigliaru (con contributi di Paola Bono, Monica Farnetti, Gianna Mazzini, Francesca Maffioli, Laura Marzi, Liliana Rampello, Letizia Paolozzi, Nadia Setti, Chiara Zamboni e altri).

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